Scrivo (quasi) sempre mettendo l'emozione davanti a tutto il resto ma a volte capitano film come questi - in cui dal primo fotogramma all'ultimo sei come incantato - e allora le cose si fanno ancora più difficili.
Perchè film come A Chiara li sento talmente miei, talmente "perfetti", che poi parlarne con un minimo di oggettività - io che l'oggettività già ne ho poca di mio - diventa impresa quasi impossibile.
Ho adorato questo film (primo che vedo di Carpignano che, lo dico subito, per me è un mostro) dal suo primo istante all'ultimo. 
Ho adorato la regia, ho adorato la scrittura, ho adorato i personaggi, ho adorato i volti, ho adorato il messaggio, ho adorato gli sguardi, ho adorato il manifesto e il non detto.
A Chiara, semplicemente, è un film magnifico.
La cosa più impressionante, in un film di due ore poi, è il non avere nemmeno 5 minuti di stanca, possedere un ritmo narrativo ed emotivo che mai si placa, tenerti con sè, sempre.

L'incipit è formidabile.
Sembra di stare vedendo un film Dogma, sembra di trovarci davanti al Trier di Melancholia (che ok, Dogma non era del tutto ma in alcuni aspetti sì) o, soprattutto, al Vintenberg di Festen.


Siamo ad una festa di compleanno, la macchina da presa si muove senza sosta, nervosa, sporca, apparentemente in modo casuale ma con, invece, una maestria spaventosa. Vediamo volti, sentiamo discorsi, la gente si alza, sta seduta, festeggia, in 20 minuti vorticosi che sono una specie di centrifuga. E Carpignano dimostra già in questa centrifuga di avere qualcosa che non tanti registi hanno, ovvero quella sensibilità massima delle cose minime.
Questi primi 20 minuti sono 20 minuti in cui, continuamente, vediamo lo sguardo di una figlia cercare suo padre, e quegli sguardi, se uno li coglie, sono già la certezza di che razza di scrittura abbiamo, sono quegli aspetti minimi (ma basilari) che vanno intravisti nella santabarbara di urla, musica e volti.
Tanto che questo ho pensato all'inizio, questo sarà un film su un solo aspetto, su una figlia che cerca disperatamente con lo sguardo il padre (poi, per plot, il film andrà altrove).
Poi siamo a tavola, e anche qui la sensibilità di Carpignano è massima nel raccontare, in modo vergognosamente perfetto, questo padre amorevole che però no, non riesce ad alzarsi, non riesce a fare il discorso. E però dice all'altra figlia quanto la ama e i due si abbracciano e piangono mentre il resto del mondo festeggia. Madonna mia.
E poi la gara di ballo che diventa quasi - ancora - gara di sguardi. Abbiamo due personaggi che quasi non si sono mai parlati tra loro, il padre e la magnifica Chiara, e solo con tutti questi sguardi abbiamo un rapporto, abbiamo una storia, è come se conoscessimo tutto quello che c'è tra loro, l'amore, i sospetti, la paura, la gelosia. Chiara cerca sempre il padre perchè, forse, ha capito che c'è qualcosa nella vita del genitore che lei non conosce. Lo cerca perchè è gelosa di lui e perchè qualcosa le sfugge. 
Poi, scoprirà cosa.
E inizierà a capirlo in altre due sequenze pazzesche girate da Carpignano, due scene quasi identiche a metà tra realtà e sogno (tremendamente reali ma inquietantemente oniriche), di cui una in un magnifico piano sequenza.
Carpignano sta sempre addosso alla sua splendida protagonista, come fosse l'Aronofsky di madre!, di The Wrestler, de Il Cigno Nero.
La segue, la pedina, la precede, le sta accanto, sempre.
E in quel piano sequenza ci sono 5 minuti di cinema altissimo, c'è l'attrice, c'è la regia, c'è l'atmosfera, c'è la colonna sonora, c'è la storia, sembrano quasi sequenze di un cinema d'orrore colto, coltissimo, e in realtà è solo una telecamera che segue una ragazzina.
E quella ragazzina, perchè prima o poi dovevamo arrivarci, è Swamy Rotolo, una giovane attrice che tira fuori un'interpretazione che mette i brividi, straordinaria, indimenticabile.
Il suo volto è per 90 minuti dei 120 totali davanti alla telecamera, roba che riesce solo ai grandi. Eppure lei è grandiosa, sempre, lo è quando parla, lo è quando tace, lo è quando agisce, lo è quando osserva, lo è quando ride, lo è quando piange, lo è quando spera e quando si dispera.
Non tutti gli altri attori (forse solo Claudio Rotolo, il padre) riescono a restare al suo livello (ma, dio mio, è roba per pochi) ma tanto, diciamocelo, il film è lei.
O forse non è vero, il film è tanto altro, il film è un magnifico spaccato di vita vera, mostrata così com'è, con umanità commovente. Il film non giudica, non condanna, il film mostra.
E ti fa vedere come un padre contrabbandiere di droga possa essere, almeno a livello affettivo, un padre meraviglioso. E ti fa vedere come la criminalità sia brutta e cattiva, vero, ma molto spesso figlia di degrado e di sopravvivenza. Non ci sono mostri in A Chiara, ci sono tanti uomini che sbagliano, e che sbagliano tanto, ma che non per questo sono esseri per forza inumani.
E' un film dove a volte sono i rumori a nascondere la verità, il rumore di una radio ad altissimo volume o quello di una caffettiera, tutto frastuono che deve celare qualcosa. O c'è anche un altro rumore fortissimo, quello del tapis roulant (bello e simbolico che poi, ad Urbino, Chiara correrà fuori, all'aria aperta e nel silenzio, quasi contrapposta a quel correre da ferma e nel casino in cui era costretta in Calabria).
 Il film prosegue, sembra a volte di ritrovarci in un gemello forse anche più bello del già bellissimo Sicalian Ghost Story, due film delicati, pieni di grazia, al confine con l'onirico, per raccontarci però cose brutte e reali.
Chiara troverà il nascondiglio, la botola, e questo film diventerà quasi paradossale, il film dove una figlia cercherà più volte quel nascondiglio per nascondere sè stessa, quel nascondiglio che invece doveva accogliere il padre. Dovrebbe odiarla quella botola, perchè simbolo di un qualcosa che lei del padre odia. Eppure diventa quasi una sorta di placenta paterna, se mai in questa vita può esisterne una.
Ci saranno due sconti bellissimi, uno con la madre e uno con la sorella.
Ci sarà una vicenda laterale con una giovane rom, forse unica parte del film leggermente fuori fuoco, non perchè mal raccontata ma perchè evidentemente strumentale (servirà alla scena del petardo e, conseguentemente, all'intervento dei servizi sociali).
Ci sarà un piccolo cross over con "a ciambra" (non ho visto ancora quel film ma è evidente il rimando).
E poi finalmente la fortissima Chiara piange, piange quando sa che dovrà andar via. E anche qui avremo in montaggio alternato un'altra sequenza da brivido, il giudice che parla, Chiara che saluta una famiglia silenziosa e raccolta.


Poi l'inevitabile incontro col padre.
Padre che a questo punto non ha più niente da nascondere e che, anzi, decide di mostrarsi completamente.
Chiara vedrà il "lavoro" del padre, Chiara starà sempre lì in silenzio (non una sola parola per mezz'ora), Chiara osserverà.
Quello che vedrà è sì brutto ma non tanto brutto come quello di cui aveva paura ("tu papà ammazzi le persone?").
Ci immaginiamo che forse il film terminerà con una ragazzina che ama talmente tanto il padre da, magari seguirne le orme.
E invece avremo una ellisse temporale, senza nessun preavviso, senza nessuna costruzione
Chiara ha deciso di andare ad Urbino.
Ha deciso di andarsene via, ha capito che lì non poteva restare, ha capito che non era più al sicuro.
Una ragazzina di gigantesca maturità. Una ragazzina che adora la famiglia, che era radicata lì, che aveva amiche magnifiche, sorelle magnifiche (la scena in cui incontra la sorellina e si parlano sussurrando è pazzesca) e tanta serenità nella sua terra.
Ma che ha scelto di andarsene.
E in una scrittura circolare pazzesca avremo un'altra festa di compleanno.
Questa volta è di Chiara stessa.
I volti intorno sono quelli di una nuova famiglia.
L'atmosfera è la stessa perchè la gioia non ha regioni.
La nuova sorella di Chiara le legge un discorso.
Chiara la guarda divertita ma poi ad un certo punto il suo sguardo, quando sente alcune parole, si perde, il suo volto si contrae.
Sono righe bellissime ma che le fanno anche male.
Ma Chiara è forte, il suo volto si contrae ma resiste.
Torna a casa e nello specchio c'è il fantasma della sua famiglia, un fantasma che mai più se ne andrà.
Ma voglio tornare a pochi minuti prima, voglio di nuovo infilarmi in quella festa.
Si alzano i calici, c'è una ragazza da festeggiare.
"A Chiara!"
gridano gli invitati.
E noi vorremmo esser là.
Vorremmo anche noi alzare un calice a sta meraviglia de adolescente.
Questo è il mio calice.
"A Chiara"