"ANIMALI SELVATICI" (R.M.N) DI CRISTIAN MUNGIU (2022)

In "Animali Selvatici" ("R. M. N." nel titolo originale del regista rumeno Cristian Mungiu) ci viene mostrata un'Europa sull'orlo del tramonto e del baratro sociale.

Il titolo originale rumeno è simbolico: "R. M. N." è la sigla rumena di MRI, risonanza magnetica per immagini.

Mungiu mette in scena un' opera strutturata proprio come un esame ambulatoriale, proponendo immagini dettagliate e inquietanti, frutto di un montaggio che conferisce al film un ritmo che mette a disagio. 

 

Non solo: proprio come l'esame radiologico identifica impietosamente la presenza di una malattia degenerativa e irreversibile, il regista incalza lo spettatore con una serie di immagini che non lasciano scampo. Il suicidio del padre di Matthias, vecchio e malato, ne sarà l'amaro epilogo.

 

Chi è Matthias (Marin Grigore)? E' un emigrato che fugge dalla Germania, per cercare di recuperare il rapporto col figlio Rudi. Tornato a casa si scontra con l'ex moglie Ana e cerca di addestrare il figlio per forgiarne il carattere secondo il cliché della mascolinità più trita, con l'esito che possiamo facilmente immaginare. Poi c'è Csilla (Judith State), la direttrice della panetteria industriale, un tempo amante di Matthias e forse l'unica figura positiva del film, con cui quest'ultimo cerca di ristabilire un rapporto, ovviamente senza successo. L'incomprensione tra i due, fatta salva l'intesa nell'intimità sessuale, si manifesta nell'incapacità di comunicare a causa delle rispettive lingue materne (Csilla è ungherese), e del divario culturale, sicché i loro mondi non si incontreranno mai.

 

La piccola comunità è soggiogata dalla globalizzazione e dall'impellenza delle normative comunitarie. La sopravvivenza economica dipende dall'accesso ai fondi europei. Quando il panificio industriale - unica azienda in grado di assorbire posti di lavoro dopo la chiusura della miniera d'oro a causa dell'inquinamento delle falde - inizia l'affannosa ricerca di addetti, per poter accedere ai finanziamenti di Bruxelles entro le scadenze incombenti, ecco che i bassi livelli salariali non attirano gli autoctoni, i quali preferiscono emigrare verso l'Europa occidentale. L'unica alternativa diviene allora l'assunzione di immigrati extracomunitari asiatici, disposti a lavorare per salari da fame. Non ci vorrà molto perché si accendano tensioni xenofobe (singolare è l'atteggiamento del parroco che, donabbondiescamente, finisce per assecondare le pulsioni della maggioranza, in barba a ogni principio d'accoglienza), che paradossalmente tovano alleati nei ceppi etnico-religiosi succedutisi nel corso dei secoli proprio in quelle aree, e che custodiscono ancora profondi legami con le loro tradizioni. Erano riusciti persino a liberarsi dei Rom, e adesso devono sopportare questi individui che toccano il pane con le loro mani scure? E' solo una delle voci che si levano durante l'assemblea iniziata in chiesa e trasferitasi nella sala comunale, in cui si manifesta tutto il malessere di una comunità marginale e destinata all'estinzione, che riversa tutto il suo astio verso il capro espiatorio di turno: straniero. La deriva razzista diventa incontenibile.

 

Colpisce, come a più di sessant'anni di distanza da "Rocco e i suoi fratelli" di Luchino Visconti riaffiorino temi universali, tra cui le dinamiche familiari, le divisioni sociali e la lotta per il proprio destino in contesti culturali diversi. Se da un lato il capolavoro del grande regista milanese esplora la disgregazione della famiglia, collocandola in un contesto più ampio di divisioni sociali e geografiche nell'Italia del cosiddetto "boom economico". "Animali selvatici" evidenzia lo sgretolamento dell'utopia comunitaria soprattutto nelle periferie continentali europee, colpite dall'inverno demografico e depresse dal progressivo smembramento del lavoro e dello stato sociale.

Entrambi i registi si concentrano su personaggi utimi, che lottano per il proprio destino, intrappolati in circostanze storico-sociali avverse.

Il concetto stesso di "città stregata", descritto da Visconti riguardo a Milano, è affine alle atmosfere disumanizzanti sotto il cielo costantemente plumbeo di una Transilvania dipinta come se fosse fuori dal suo tempo.