Tramonto

Tramonto rappresenta un piccolo passo indietro rispetto al precedente, grandioso film di debutto di Laszlo Nemes, Il figlio di Saul. Non tanto da un punto di vista estetico, poiché in Tramonto ritroviamo i medesimi stilemi che hanno reso la sua opera prima una delle migliori del nuovo millennio, anzi talora financo potenziati e maggiormente approfonditi in questo secondo capitolo della filmografia di Nemes; il passo indietro si palesa in una sceneggiatura che, come l'estetica, tenta di ricalcare quanto visto nel film precedente, dimenticandosi, però, che ogni scelta artistica trova la propria validità a seconda del contesto in cui essa viene applicata. In altre parole, i dialoghi in Tramonto paiono quelli, fuggenti, abbozzati e quasi criptici, a tratti, dei prigionieri dei lager tedeschi, come anche descritti da Primo Levi, sebbene estratti da quel contesto ove la parola era quasi bandita. Le battute in Tramonto non di rado sembrano al limite del sibillino, senza una reale motivazione, come se fosse l'Oracolo di Delfi ad averli scritti.