L'uomo di Londra

Proviamo ad allungare la mano, nel tentativo di sfiorare il noir. Ma è fatica vana. Il (non) mistero che muove il film è distante da noi, noi che osserviamo il dramma esistenziale di un uomo francese, testimone involontario di un omicidio; un uomo che tenta di sopravvivere alla desolazione dell'esistenza, come sempre nell'opera tarriana incarnata nel nucleo familiare. Il noir c'è ma è distante, distante come sono i personaggi del film; è ben presente, nell'estetica della pellicola e nel motore della trama, ma è anche effimero. Non è quello, ciò che interessa Tarr e Krasznahorkai. La solitudine e la desolazione sono gli eterni protagonisti del cinema di Béla Tarr, descritti egregiamente dalla penna del romanziere e sceneggiatore con il quale collabora dai tempi di Perdizione.
E sebbene questa scelta di porre l'elemento primario in secondo, se non terzo, piano, sebbene l'impianto visivo sia meraviglioso, qualcosa ne L'Uomo di Londra non funziona. Non è la lentezza della pellicola, nè la sua durata e nemmeno la narrazione. C'è qualcosa di più profondo, nei personaggi forse, che un po' frena l'altrimenti incontenibile bellezza del film, il quale resta, comunque, una perla del panorama europeo.