Zhou è appena uscito dal carcere e già si ritrova in una contesa tra gang per la spartizione del territorio dove rubare moto e motorini.

Per risolvere la questione viene organizzata una sfida a chi ruberà di più in una notte. Durante la contesa però Zhou, per sbaglio, ucciderà un poliziotto.



 

Il lago delle oche selvatiche, quarto film del cinese Diao Yinan, è un noir che più noir non si può.

I protagonisti hanno già scritto in faccia il loro destino.

Zhou è braccato da tutti, complice una taglia di 300mila yuan.

Non si può fidare di nessuno perché, come è d’obbligo in un film di genere, tutti possono cambiare faccia in qualsiasi momento, anche quelli che credevi amici.

L’unica persona che può aiutarlo, forse, è Liu, una signorina del lago (ovvero una prostituta), anche lei legata a doppio filo alle gang e che però è l’unica speranza che ha Zhou di fare in modo che i soldi sulla sua testa finiscano nelle mani della moglie che non vede più da anni.

Per farlo, però, dovrà riuscire a sfuggire a quanti gli danno la caccia, che siano i criminali o la polizia, rifugiandosi nella zona del lago delle oche selvatiche del titolo, un quartiere senza legge alla periferia di Wuhan (sì proprio la città del coronavirus).

Nel nuovo lungometraggio di Yinan si mescolano milioni di influenze, ognuno può divertirsi a trovare i riferimenti che preferisce.

Da una parte c’è la tradizione del noir e del polar francese, mescolato alla nouvelle vague, al cinema d’azione di Hong Kong, al cinema d’autore di Wong Kar-wai, di Nicolas Winding Refn e di Michelangelo Antonioni; con suggestioni (le ombre cinesi) che rimandano tanto alla tradizione quanto a Il terzo uomo.

Persino l’atmosfera, dominata dalla pioggia, rimanda ai cliché del genere.

Eppure, nonostante il gioco di citazioni e rimandi, Il lago delle oche selvatiche è un film con una propria impronta personale.

Yinan, innanzitutto, è un maestro nella composizione dell’inquadratura, un autore ossessionato dalla disposizione dei personaggi all’interno del quadro, dai rapporti spaziali tra di essi e con l’ambiente circostante.

Ma è anche un regista capace di costruire sequenze d’azione perfette tra le quali brilla il lungo inseguimento/sparatoria al mercato.

Una lunga sequenza che si apre con un ballo di gruppo sulle note di Rasputin di Boney M, dominato dal particolare delle scarpe con suole fluorescenti e che prosegue tra giochi di sguardi che rimandano ai grandi thriller e che dimostra una grandissima padronanza dei mezzi ed una capacità unica nel costruire meccanismi perfetti.

Yinan ne azzecca parecchi di momenti suggestivi; dalla battuta notturna allo zoo alle luci delle motociclette che si stagliano in lontananza su di una collina di notte.

Tuttavia il grande problema di fondo è che non tutto funziona alla perfezione, la trama spesso è confusa, dialoghi e situazioni finiscono con il ripetersi e alla lunga il film comincia a girare su sé stesso allungando in maniera esagerata il brodo.

Il regista non sembra perfettamente in grado di dominare la materia e spesso sembra auto compiacersi troppo.

Per fortuna, sullo sfondo, c’è l’altro grande protagonista del film; la Cina di oggi.

Ed è questa, forse, la parte più interessante del film.

I luoghi che ci mostra questa pellicola mettono letteralmente paura.

Una periferia fetida, sporca, con strade inesistenti fatte di fango o di asfalto in condizioni catastrofiche.

Uno scenario dominato da casermoni dove vivono stipate come topi migliaia di persone, in tuguri strettissimi dove non c’è praticamente nulla, dentro palazzi fatiscenti che cadono a pezzi con impianti elettrici di fortuna che chissà come fanno a non incendiarsi.

Su tutto domina la spazzatura gettata dalle case direttamente in una enorme buca che si apre al centro del palazzo; la sporcizia regna sovrana ovunque; tutto è lercio, strade, case, palazzi, appartamenti.

Sullo sfondo di questo scenario apocalittico si muovono esistenze al limite, centinaia di persone che lavorano in luridi scantinati, in garage di fortuna, in fabbriche dominate dal rumore incessante tra ventilatori luridi.

Ne viene fuori un ritratto spietato di una Cina lontanissima dallo sfarzo dei grattacieli moderni e scintillanti che rimangono solo delle immagini sbiadite su di un muro di ciò che forse, un giorno, diventerà questo quartiere senza legge. 



 

EMILIANO BAGLIO