Pensando all’ultimo film di Lanthimos vengono in mente le parole del regista Robert Bresson; “costruisci il tuo film sul bianco, sul silenzio sull’immobilità”. Il cinema del regista greco, infatti, di opera in opera, appare sempre più rigoroso, geometrico, scarno ed apparentemente respingente. 

Il sacrificio del cervo sacro potrebbe addirittura sembrare un film anestetizzato ed anestetizzante quanto i rapporti sessuali tra Steven (Colin Farrell) ed Anna (Nicole Kidman), che sono solo uno dei momenti di geniale spietata ironia di cui è costellato il film.

La coppia conduce un'agiata vita borghese, asettica tanto quanto i corridoi di ospedale dove svolge la sua attività Steven e dove si svolgerà gran parte della vicenda. A completare il quadro familiare i due figli Kim (Raffey Cassidy) e Bob (Sunny Sulijic).

Tuttavia, come già accadeva in Kynodonthas (più conosciuto col titolo di Dogtooth), ecco che improvvisamente il mondo esterno irrompe nell’ordine costituito sconvolgendolo per sempre.

Stavolta ha le fattezze del giovane Martin (Barry Keoghan) con il quale Steven ha un rapporto oscuro che lascia aperte le supposizioni più disparate.

Come in Teorema di Pasolini, Martin è chiaramente l’elemento perturbante che, lentamente, si insinua all’interno del ménage familiare minandolo sin dalle fondamenta ed esercitando il suo fascino oscuro soprattutto sulla giovane figlia, traviandola in modo non dissimile da quanto accadeva in Cape fear.

Senza svelare troppo, in realtà a muovere il giovane è un desiderio di vendetta, riparare ad un errore compiuto da Steven e magari anche, perché no, far cadere il medico nelle braccia di sua madre (Alicia Silverstone), creando così un nuovo nucleo familiare.

La vendetta prenderà i contorni di una vera e propria maledizione.

Sgombriamo subito il campo dagli equivoci. Le interpretazioni sono tutte lecite.

D’altra parte sin dal titolo si cita apertamente la mitologia greca ed il sacrificio di Ifigenia trasformata in cerva all’ultimo minuto.

Si potrebbe dunque pensare che la maledizione sia metafisica, quasi divina. Il modo stesso in cui è stato realizzato il film potrebbe portarci in tale direzione, come confermato dallo stesso regista “Ho usato spesso il travelling, e un modo di girare diverso da quello che ci si aspetta visto il contenuto: si doveva avere l’idea di qualcosa che osserva la scena”.

La stessa soluzione che consiste, appunto, nell’uccisione del cervo sacro ovvero nel sacrificare la propria discendenza alla divinità Martin; sembrerebbe confermare questa possibile chiave di lettura.

Al tempo stesso non è peregrina neanche un’interpretazione politica del film. Le cadute dei personaggi, il loro lento consumarsi in fondo potrebbero simboleggiare il destino stesso della Grecia costretta ad uccidere, neanche tanto metaforicamente, i propri figli ed il proprio futuro, per poter sopravvivere.

Voi fate come volete ma per noi Martin è una figura terribilmente terrena ed immanente, spaventosa quanto la terrificante scena carica di tensione in cui mangia un piatto di pasta e che ci conferma quanta stupefacente grandezza possieda Lanthimos e la sua arte.

Probabilmente ancora una volta le reazioni saranno contrastanti.

Come detto all’inizio della recensione il regista greco continua pervicacemente a seguire una sua idea di cinema, aliena a gran parte del panorama circostante. Non cerca il consenso del pubblico, piuttosto propone lungometraggi rigorosi ed in tal senso Il sacrificio del cervo sacro è esemplare.

Interpretazioni stranianti (“soprattutto non fate niente” pare fosse il suo suggerimento agli attori), costruzione geometrica e perfetta dei movimenti di macchina e degli spazi, un film asettico come gli spazi in cui è ambientato, opprimente come un ospedale e spietato come le torture alle quali è sottoposto il giovane Martin.

Lanthimos ha in mente un cinema costruito sul togliere, alla ricerca di un’asciuttezza sempre più estrema.

Eppure, in tutto ciò, non rinuncia al suo humour nerissimo e grottesco che qui trova spazio soprattutto nella scena del sacrificio per lasciarci al solito finale aperto ed apparentemente enigmatico in cui un gioco di sguardi sottolinea il ristabilirsi di un nuovo ordine.

Temiamo che in tanti non accetteranno la sfida di Lanthimos e forse neanche la comprenderanno preferendo un cinema più facile.

Peccato per loro, per tutti gli altri c’è l’ennesimo film immenso di un grandissimo autore.



 

EMILIANO BAGLIO