Skinamarink


 

A tutti noi è successo, prima o poi, di svegliarci nel cuore della notte e non riconoscere il posto dove dormivamo, fosse anche la nostra solita stanza da letto.

Una sensazione della quale ha parlato, da par suo, sebbene in altri termini Marcel Proust nella Ricerca del tempo perduto.

Siamo invasi dallo spaesamento più totale, dall’estraneità, dall’inquietudine e sì, dalla paura.

Kyle Edward Ball prende quelle emozioni e le dilata per i 100 minuti del suo film d’esordio, Skinamarink, che espande il precedente cortometraggio Heck, reperibile gratuitamente su Youtube.

Due sono le reazioni possibili dinnanzi a questo film, entrambe lecite.

Ci sarà chi lo rifiuterà completamente abbandonando la visione dopo poco.

Perché, diciamolo chiaramente, in Skinamarink non succede praticamente nulla.

L’esordio di Ball si compone di 100 minuti realizzati con una telecamera termica; una serie di inquadrature buie e sgranate, ai limiti del leggibile, quasi sempre assolutamente statiche e sbilenche in cui vediamo per lo più piccoli dettagli apparentemente insignificanti.

Una sedia sul soffitto, una porta che scompare, ombre, voci sussurrate, un televisore che trasmette cartoni animati come rumore di sottofondo.

La casa è la stessa dove abitava da piccolo il regista.

Al suo interno due bambini, Kevin e la sorella Kaylee.

Un padre che all’improvviso scompare nel nulla, una madre assente della quale nessuno dei due vuole parlare.

Il tempo passa senza che si abbia più coscienza di esso, unica compagnia quella luce blu proveniente dal televisore con quelle immagini in perenne loop.

La geografia della casa cambia sotto i nostri occhi, scompaiono porte e finestre, i dialoghi sono ridotti al minimo e sono poco più che sussurri nel buio.

Come dicevamo c’è chi fuggirà dinnanzi a questo oggetto strano, ai confini con la videoarte.

C’è chi invece ci sprofonderà, così come si fa in un sogno che ci avvinghia con le sue regole diverse dalle nostre veglie.

E rimarrà inviluppato in questa torbida ragnatela.

Skinamarink ci restituisce perfettamente quello spaesamento di cui parlavamo all’inizio, ha lo stesso sapore della notte e del buio, dei passi felpati e delle frasi sussurrate nel buio, la stessa consistenza di quelle ombre strane che durante il giorno sono state oggetti familiari.

Si finisce per esserne affascinati, in un modo quasi inquietante e misterioso e ci si porta dietro quelle immagini apparentemente insensate di una notte infinita nella quale saremo perennemente prigionieri senza via di scampo, forse per sempre, senza neanche rendercene conto, in un incubo senza inizio né fine.

Terribile.

EMILIANO BAGLIO