Interstellar

Come si suol dire a tutto c’è un limite. Ma questo era prima che arrivasse Interstellar di Christopher Nolan, più che un film una sfida continua per vedere sino a che punto lo spettatore sopporterà una sceneggiatura piena di buchi, incongruenze e colossali sciocchezze, prima di cedere ed alzare bandiera bianca. Intendiamoci potremmo anche accettare molte delle assurdità di cui è costellata la pellicola, in fondo non pretendiamo che ogni opera di fantascienza abbia una qualche credibilità scientifica e non siamo neanche dei fisici quindi non sappiamo quanto in Interstellar sia vero e quanto sia invenzione degli sceneggiatori. Potremmo fare tutto questo se sullo schermo ci fosse una storia capace di catturarci, un meraviglioso spettacolo visivo che ci abbagliasse e ci affascinasse, ma stavolta non c’è niente di simile. Ma andiamo per ordine.

Nel mondo del futuro l’unica cosa che cresce è il mais e ci sono continue tempeste di sabbia. Quindi muoiono tutti di denutrizione e tubercolosi dopo mezz’ora di film. Neanche per sogno miei cari spettatori, perché, per motivi misteriosi e magici, qui ogni sera ci si beve una bella birra e si guidano automobili. Com’è fatta la birra? Chi cavolo estrae petrolio in un simile scenario apocalittico? Misteri della fede. Qui in mezzo al granoturco non c’è Kevin Costner che vede i fantasmi dei giocatori di baseball come ne L’uomo dei sogni. C’è Cooper (Matthew McConaughey), un ex pilota della Nasa, che vive insieme al suocero Donald (John Lithgow) e ai figli Tom e Murphy (che da grandi sono interpretati da Casey Affleck e Jessica Chanstain). Un bel giorno nella stanza di Murphy cominciano a succedere strane cose, tipo che i libri cadono da soli, anche quando non c’è nessuno in casa. Sarà un fantasma, dice la bimba, vedi che i libri seguono il codice Morse, vuole comunicare con noi. Ma no, piccola mia, è la gravità e non è il Morse ma il sistema binario, vedi sono coordinate, dai seguiamole. E dove andranno mai a finire i nostri eroi dopo aver seguito queste bislacche tracce frutto di un’evidente pazzia e di una sceneggiatura scritta da un bambino scemo? Ma in una stazione della Nasa dove in gran segreto si preparano ad una missione spaziale che salverà l’umanità. Vi sono già cascate le braccia? Aspettate che il meglio deve ancora venire. Vi dico, ad esempio, che prima di sta roba qui, lo spettatore si è dovuto sorbire una scena insensata in cui Cooper ed i figli inseguono un aeroplano - drone in auto, sfidando tutte le leggi della fisica (quest’auto quanti chilometri orari farà?) e falciando ettari del preziosissimo mais come nulla fosse. Questo drone ha un ruolo nella storia? Neanche per sogno serve solo a farci capire quanto è figo Cooper e che ha ancora dei sogni e sa usare un computer. E l’accenno ad una misteriosa missione in India, paese dal quale proviene l’aereo, viene sviluppata? Ma no lasciamola morire così, che ce ne frega. Ma torniamo alla stazione Nasa, che progetta razzi interplanetari non si sa con quali mezzi mentre la gente muore di fame. Qui Cooper ritrova il suo vecchio mentore, il professor Brand (Michael Caine) e sua figlia Amelia (Anne Hathaway). I due hanno scoperto un whormhole (un cunicolo spazio temporale) vicino Saturno. Questo passaggio costruito apparentemente da misteriose entità aliene, chiamate nel film “loro”, porta verso mondi sconosciuti e potenzialmente abitabili. I nostri quindi hanno mandato 12 piloti ad esplorarli. Cioè sono già 12 volte che da questa base spaziale partono altrettanti razzi senza che nessuno si accorga di nulla. Sempre in un mondo dove per pranzo, cena e colazione c’è solo mais. Avete già abbandonato la sala sconfitti da una simile sceneggiatura? Ragazzi miei resistete ancora un po’. A questo punto bisogna mandare un’altra nave che trasporti sui pianeti più appetibili degli embrioni umani con cui ripopolarli. Voi direte, ma non potevano dare un po’ di embrioni ad ognuno dei 12 piloti così da risparmiare tempo e soldi? Ma siete proprio degli ingenui! Vi pare che in un simile film qualcuno possa fare qualcosa di minimamente logico? E poi c’è il piano A, se uno di questi mondi è buono ci mandiamo sopra anche la popolazione terrestre, basta che il professor Brand risolva una difficilissima equazione e scopra come vincere la forza di gravità. Così Cooper, dopo anni che non tocca un’astronave, senza un minimo di preparazione, in cinque minuti saluta tutti e parte verso l’infinito. Con lui c’è Amelia ed altri due scienziati. Durante il viaggio veniamo allietati con continue lezioni di fisica buttate lì con la nonchalance di chi ti sta spiegando una ricetta di cucina. Ehi Cooper mancano cinque minuti prima che entriamo nel ponte spazio temporale, visto che non ci sei mai stato e non sai cos’è prendo un foglio ed una penna e te lo spiego. Ehi c’è da atterrare su un pianeta sconosciuto piazzato vicino ad un gigantesco buco nero, aspetta che prendo una lavagna e ci disegno sopra la rotta migliore. Vi prego di credermi gentili lettori, non sto facendo battute, il film è proprio così. Alla fine i nostri arrivano su questi benedetti mondi e finalmente accade qualcosa che risveglia l’attenzione dello spettatore orami un po’ stanco di essere preso in giro così platealmente e spudoratamente. Il primo posto è un immenso oceano, dove nonostante il fondale sia basso pochi centimetri si formano onde altissime. I nostri fanno un po’ di surf con la loro navicella, sopravvivono miracolosamente quasi tutti e via verso nuove avventure. Peccato che su questo mare senza fine ogni ora corrisponda a sette anni terrestri. Per il poveretto che li ha attesi sulla stazione orbitante sono passati 23 anni. Ora, voglio dire, se sei atterrato su un oceano gigante non è che devi essere un genio per capire che non è un buon posto per viverci. Ma no recuperiamo lo stesso i dati scientifici anche se qui solo i pesci possono viverci. Poi, visto che i nostri eroi evidentemente hanno il cervello solo per bellezza, quando atterrano sul secondo mondo, fatto solo di montagne, ghiaccio e neve pensano che lì ci si può abitare. Non so voi ma io in un posto simile non ci vivrei proprio e quindi comincio a sospettare che il pilota mandato lì, il dottor Mann (Matt Damon), stia raccontando un mucchio di balle. Ed in effetti il poveraccio dopo tutti questi anni passati in solitudine, in sonno criogenico, è impazzito. Però, nonostante la credibilità sia sempre sotto zero come la temperatura finalmente, il film ingrana. Mentre i nostri esplorano questa immensa catena montuosa in parallelo seguiamo le vicende della terra. Il nostro vecchio pianeta fa sempre più schifo. Tom ha messo su famiglia e Murphy è diventata una scienziata ed ha scoperto che il professor Brand ha sempre mentito a tutti. A questo punto ci si prepara per il gran finale che ovviamente non svelerò casomai qualcuno avesse ancora voglia di andare a vedere questa immane sciocchezza. Vi basti sapere che mentre Amelia si dirige verso il terzo mondo abitabile, Cooper finisce nel buco nero. Lì si ritrova in un tesseratto (detto anche ipercubo) e tutti i pezzi del puzzle tornano a posto (si fa per dire). Tra battute del tipo “siamo una realtà tridimensionale in un mondo a cinque dimensioni” (le idiozie oramai fioccano), scopriamo il mistero del fantasma nella libreria di Murphy e Cooper capisce che la grande incognita che manca all’equazione che permetterà all’umanità di sfidare la forza di gravità è l’amore. Detta così pare una scemenza. Lo è. Ed il bello è che, prima che il film finisca, ce ne saranno altre di sorprese di questo genere. Tipo la struttura interna dell’ipercubo dentro al quale Cooper si muove come fosse a casa sua nonostante questo abbia dimensioni praticamente infinite. O lo stratagemma che usa per risolvere la situazione, una roba assurda e complicatissima priva di senso, che ovviamente non possiamo svelare. Come dicevamo all’inizio della recensione a tutto c’è un limite. Come sia possibile che una simile accozzaglia di sciocchezze sia potuta piacere a qualcuno resta un mistero. Stavolta Christopher Nolan ha sbagliato in pieno realizzando un film ridicolo, privo di ogni fascino, pieno di spiegazioni che magari saranno anche scientifiche ma che sono dette in maniera tale da apparire come delle immani scemenze (per non usare termini volgari). Non c’è niente che stia in piedi in questa roba se non pochi momenti isolati, il pianeta di ghiaccio, il silenzio delle scene girate nello spazio e poco altro. Nolan poi ce la mette tutta per rovinare anche quei momenti con battuta degne di Chuck Norris. E quando si tratta di svelare il grande inganno, una costante dei suoi film, invece di trovare una soluzione geniale come aveva fatto in passato in pellicole quali Memento, The prestige o Inception, la sua intuizione è di quelle che ti fanno cascare le braccia. Deve solo ringraziare il fatto che uno il biglietto del cinema lo paga perché non c’è pazienza che tenga quando il povero spettatore viene preso per i fondelli in questa maniera dall’inizio alla fine. Perché veramente la voglia di alzarsi ed andarsene scatta dopo pochi minuti dall’inizio. Però quando giri scene come quelle dell’eureka (chi vedrà capirà), non c’è nessuna scusa che tenga. Stai girando un film con i piedi e se non fossi Christopher Nolan nessuno ti avrebbe mai finanziato una simile robaccia.

EMILIANO BAGLIO