Dentro la guerra siriana, rinchiusi in un appartamento.
“L’appartamento sembra come una bolla sul punto di esplodere, le ombre sono minacciose, il mondo esterno pare irraggiungibile, proibito. È come se i personaggi fossero seduti su un vulcano, tesi, irascibili, egoisti, e nonostante ciò provassero a mostrare empatia e compassione verso gli altri compagni”, così Philippe Van Leuuw descrive il suo nuovo film, nato dai racconti di un’amica siriana che gli raccontò l’esperienza del padre che per tre settimane era rimasto chiuso nel suo appartamento ad Aleppo.
Un film realizzato grazie anche all’aiuto di registi siriani in esilio e recitato da attori rifugiati così da risultare ancora più realista.
Insyriated trasporta lo spettatore dentro l’orrore della guerra tenendolo prigioniero tra quattro mura. La guerra è evocata tramite pochissime immagini e viene resa soprattutto grazie al sonoro, il rombo degli aerei, il fragore delle bombe.
L’attenzione del regista si concentra sullo straordinario gruppo di attori che sorreggono un film tesissimo nonostante si svolga appunto in un’unica location.
Potremmo temere l’effetto teatrale ed invece Insyriated riesce benissimo a trasmettere le sensazioni di un gruppo di persone assediate dentro la propria abitazione ognuno prigioniero dei propri incubi e delle proprie speranze.
C’è una giovane donna (Halima) che insieme al marito progetta una fuga per portare in salvo il figlio neonato. Un anziano che passa il suo tempo a fumare ed ha nello sguardo tutto lo sgomento dinnanzi al proprio paese devastato dalle bombe.
C’è una madre di famiglia (Oum Yazan) che cerca di proteggere i propri figli e teme per la sorte del marito, figlio dell’anziano signore. Fuori ombre minacciose, cecchini appostati, rumore di passi al piano di sopra, qualcuno che bussa alla porta.
Tutto rappresenta un pericolo che diventa tremendamente reale quando degli estranei penetrano all’interno dell’abitazione e violentano Halima.
Insyriated ha la forza di un pugno nello stomaco e tiene lo spettatore in uno stato di ansia continua alimentato dal senso di claustrofobia dato dall’ambientazione chiusa.
La casa diventa l’ultimo baluardo per difendersi dagli orrori del mondo estraneo, un luogo da difendere con le unghie e con i denti, un territorio che si cerca di mantenere pulito ed ordinato come se nulla fosse cambiato.
Dentro si combatte la lotta per la sopravvivenza, per procurarsi acqua e cibo; si continua a vivere e magari anche ad amare perché anche nell’orrore per i più giovani c’è posto per la speranza.
Qunado giunge la sera le tensioni accumulate durante la lunga giornata esplodono. Oum e la cameriera Delhani devono trovare il modo di confessare ad Halima che suo marito è stato colpito da un cecchino e giace in cortile. Oum cerca disperatamente di avere notizie del marito e tutti si rinfacciano qualcosa, il fatto di essere state abbandonate come Halima, lasciata sola a fronteggiare gli invasori oppure la semplice paura di una delle figlie di Oum.
Insyriated vince a piene mani la sfida ambiziosa di raccontare la guerra senza abbandonare il chiuso di una casa.
Il suo regista ci restituisce la distruzione della quotidianità, lo stato di ansia e paura perenne, il tentativo di dare una parvenza di normalità allo scorrere lento di giornate vuote che pure vanno riempite per non pensare a ciò che accade fuori, l’incertezza per il domani. La speranza che si riaffaccia in una breve telefonata del marito di Oum o nel fatto che il marito di Halima sia ancora vivo. Per terminare sullo sguardo dell’anziano signore che guarda fuori mentre il mattino di un nuovo giorno si affaccia senza che lo spettatore sappia nulla di ciò che riserva il futuro per i personaggi del film. Ognuno può immaginare ciò che vuole. Che l’orrore si ripeta uguale e peggiore oppure che ci sia una qualche flebile speranza di abbandonare quella casa che da luogo protettivo è diventato uno spazio soffocante e minaccioso.