Ripensare oggi al momento in cui vedemmo per la prima volta sullo schermo questo film di Peter Weir fa quasi tenerezza. Non esistevano ancora i reality, il Grande fratello era solo un'invenzione letteraria di Orwell e quello che stavamo vedendo sembrava lontano anni luce. Ad oggi il contesto ci stupisce molto meno e il tutto risulta quasi accettabile, ma i temi fondamentali della pellicola restano molto attuali.

The Truman show parla prima di tutto di libertà, voglia di potersi muovere liberamente per il mondo, conoscere, scoprire… In tempi di quarantena e di obblighi di dimora a casa è decisamente semplice immedesimarsi in Truman. Perché alla libertà di movimento si associa anche il libero arbitrio. Chi di noi vorrebbe perdere la libertà di scegliere cosa fare e come farlo?

Il film parte dalla filosofia per sfiorare anche la teologia, non a caso il deus ex machina si chiama Christof e il finale pone domande che dovremmo porci anche noi. Può essere più comoda una sicura vita organizzata che una rischiosa vita libera? L'uomo sa prendersi i propri rischi?

Intelligente la regia del veterano Weir che gioca con inquadrature fintamente rubate, con zoom su falsi sponsor. Molte inquadrature sghembe acuiscono il senso di oppressione che l'ottima sceneggiatura di Andrew Niccol (che più avanti si farà notare con altre avventure distopiche come GATTACA o In time) suggerisce.

Il cast è guidato da un Jim Carrey che all'epoca accettava il suo primo ruolo drammatico. La scommessa fu vinta e anche i detrattori come il sottoscritto non possono che lodarlo. Bravissimo anche Ed Harris, in quegli anni comprimario di lusso in molti grandi film. Se qualcuno non l'ha visto lo recuperi… Non resterà deluso