Vapore negli occhi

Hung torna alla ribalta internazionale dopo che in gioventù aveva firmato Il profumo della papaya verde e Cyclo, ammirati e premiati in diversi festival. Con Il gusto delle cose decide di raccontare la quotidianità dell'amore e il suo manifestarsi nei piccoli gesti, senza urla o ostentazioni. 

Lo fa con una regia sontuosa che accompagna i protagonisti in una sorta di danza culinaria opulenta. La macchina da presa segue i protagonisti, li culla suggerendo i loro sentimenti tra la preparazione di un pasto e l'altro. Nella cucina si consuma la storia di una vita, di un affetto. Hung ci porta nel bel mezzo della cucina tra ingredienti e attrezzi antichi facendoci sentire la potenza del cibo. 

Allora che cosa non funziona? Purtroppo la sceneggiatura. La trama è troppo rarefatta e gli accadimenti sono pochi per le oltre due ore di durata. Tutto si perde tra una dolce e un secondo. Il vapore della cucina annebbia la vista dello spettatore che alla lunga si sente stremato. Un soggetto interessante che però sembra sentire della mancanza di una svolta narrativa. 

Benoit Magimel e Juliette Binoche (in passato coppia nella vita) confermano il loro affiatamento e riescono regalarci momenti di complicità notevoli. L'affetto deve trasparire solo dai loro gesti più che dalle parole. Purtroppo però tutto risulta molto imbalsamato in una società che in effetti poco lasciava al trasporto inatteso. 

Vincitore a Cannes del premio della miglior regia e rappresentante della Francia agli Oscar per il miglior film internazionale Il gusto delle cose resta un film che a forza di cibo nausea lo spettatore che rischia di fare la fine dell'oca del fois gras. La messa in scena così estetizzante alla fine sembra nascondere poco. Fumo negli occhi?