Le ombre di una dea

Todd Field ce lo fa capire fin da subito che stiamo per assistere a un film che non va guardato nel modo classico, infatti parte dai titoli di coda, per di più presentati al contrario. L'avvertimento è chiaro. Come se non bastasse subito dopo parte un'intervista di oltre 10 minuti in cui si presenta il personaggio principale con le sole parole.

E poi? Una lunga lezione frontale girata in piano sequenza dove è proprio il movimento della macchina a descriverci i presunti rapporti di forza tra i personaggi. A questo punto sono passati appena 20 minuti dall'inizio del film e siamo già stati travolti. 

Perché Fileld gira la caduta della sua protagonista come un grande incubo in cui immagini inspiegabili fanno capolino in un quadro idilliaco... Poco per volta il quadro si scompone, perde di coerenza e di lucidità come la sua protagonista. Non sarà più la verità ad interessarci, ma il disfarsi di un mito. Non ci interessa chi lo piccona questo mito, ma come e cosa lo sfalda. 

È tutto si regge su una strepitosa Cate Blanchett. Probabilmente senza un'attrice di tale caratura, in grado di impersonare sin dalle prime immagini una dea delle arti, sarebbe stato difficile rendere credibile e vero TAR. La sua è una maratona impressionante e Field non la toglie quasi mai di scena. Giustamente premiata a Venezia con la Coppa Volpi per la miglior attrice è una vera prova di forza. 

Passato in concorso a Venezia TAR è un'opera complessa, ma a tratti ipnotica. Per le due ore e mezza del film non si riesce a staccare gli occhi dallo schermo grazie alle immagini e alla protagonista. Colto, difficile, ostico, capace di trattare un tema scabroso come la commistione  tra potere e attrazione sessuale il film di Field è assolutamente da vedere sia per la forma che per i contenuti. Field gira pochi film, ma buoni