Le visioni di un villaggio

Chi segue un minimo il cinema dei festival non può non conoscere Mungiu e i suoi lavori, regista dall'esordio folgorante e da Palma d'oro come 4 mesi 3 settimane e 2 giorni, e poi capace di continuare a tenere i cinefili sempre attaccati allo schermo. 

Con Animali selvatici Mungiu continua nella feroce analasi della Romania, anche se questa volta la metafora sembra decisamente più  internazionale e la denuncia può avere un valore universale. Chi al giorno d'oggi non vive sulla propria pelle le conseguenze delle migrazioni? 

Il realismo che ne è  sempre stato il suo marchio di fabbrica si ammanta di mistero. Apparizioni inspiegabili sono la guida di una società allo sbando dove tutti parlano, ma nessuno si capisce. È  difficile amarsi, mentre è  molto più  semplice odiarsi perché non serve mediazione, empatia o comprensione: è  sufficiente restare sulle proprie posizioni. Così chi sta crescendo si trova adattraversare nebbia, animali e visioni in un mondo sempre più senza confini. 

La regia di Mungiu è  come sempre rigorosa, basata sulla sua innata capacità di creare l'attesa per un evento che forse non accadrà mai. Incredibile la lunga scena della riunione del paese: Mungiu gioca sulla profondità di campo delle inquadrature in modo incredibile e riuscendo a tenere tutti gli abitanti del paesino in un'unica inquadratura. 

Passato a Cannes 2022, dove purtroppo non ha vinto nulla, Animali selvatici, come in una moderna commedia dell'arte, dipinge il paesino con tutti i personaggi chiave (il sindaco, il prete, l'industriale, il poliziotto, il medico...), ma non scorda lo sguardo di chi può vedere qualcosa di più... un veggente o un inconsapevole premonitore intelligente? Non a caso è  il più giovane. 
Più piani di lettura, più visioni, più metafore per un film da non perdere.