Zhang Yimou è un gran narratore. Sin dai tempi dei suoi film più piccoli e censurati come La storia di Qui Ju o Lanterne rosse narrare storie del popolo cinese soverchiato dal potere è stato il suo punto forte. Censurato, minacciato, ha poi trovato pace e successo commerciale con la sua trilogia wuxia della Cina antica come Hero e La foresta dei pugnali volanti.

Oggi torna con una storia piccola piccola che omaggia il cinema e la pellicola. Un viaggio nella memoria di un cinema che fu, quello della povera gente che attendeva con trepidazione le proiezioni di film (anche se smaccatamente di propaganda) e di cinegiornali. Un rito laico che univa un paese e faceva passare 2 ore lontane dalla fatica del lavoro.

One second parte da un dramma personale (quello di un internato fuggitivo che non vede la figlia da anni) per diventare lettera d'amore per il cinema, per quell'immagine che impressionata sulla pellicola ci sa far piangere, commuovere e vivere qualcosa di impossibile. Può davvero bastare un secondo per innamorarsi di quest'arte e di tutto quello che ci può portare.

Certo One second non è scevro da eccessi emotivi e da un sentimentalismo di base a volte esagerato che tende ad appesantire la pellicola anche se, grazie ad un uso limitato della colonna sonora, il tutto è più accettabile; la sceneggiatura è a tratti troppo schematica e manichea e rende monodimensionali i personaggi. Però la fotografia sia degli interni che del deserto è davvero notevole e la fluidità narrativa è indiscutibile.

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