Senza indugi: Monster è un piccolo gioiellino giapponese di un autore affermato a livello di festival, che per una volta abbandona la linearità e la semplicità della trama per addentrarsi nei meandri delle apparenze.
Per la prima volta da anni Koreeda gira una sceneggiatura non sua e si cimenta con una struttura narrativa decisamente più complessa e non lineare. Perché Monster gioca sui fraintendimenti, sugli errori che si possono commettere guardando superficialmente. Di riflesso diventa una riflessione sulla camera e su come un regista può manipolare la percezione di una storia. E lo fa unendo all'ottima sceneggiatura la sua regia sempre attenta ai particolari.
Monster inizia come un thriller, la storia di una persecuzione inspiegabile, ma innegabile a detta di tutti, e si trasforma poco per volta nel romanzo di formazione di una complessa presa di coscienza. L'assurdo e l'inspiegabile scena dopo scena prendono forma e si tratta di una forma sempre più poetica.
Chi scrive in genere odia i film che hanno i bambini come protagonisti per l'utilizzo spesso ricattatorio che se ne fa in fase di sceneggiatura. In Monster non si trova una scena che possa essere strumentale. La sincerità è l'accuratezza con cui vengono trattati i sentimenti è, questo sì come sempre nel cinema di Koreeda, esemplare, commovente ma mai piagnone.
Un'opera intelligente dai diversi piani di lettura e dalle diverse tematiche che sa intrattenere sia l'anima che il cervello, cosa molto rara. Passato in concorso a Cannes dove ha vinto il premio per la miglior sceneggiatura è un film da vedere per farsi travolgere.