Il buono non fa bene a Garrone

Chi scrive ritiene Matteo Garrone il più  importante regista italiano della sua generazione (senza offesa per Sorrentino) e attende sempre con ansia l'uscita di ogni suo film. Chi altri può vantare perle come L'imbalsamatore o Dogman tra le sue opere? La mancata selezione a Cannes 2023, dove Garrone è  di casa, ha prolungato ulteriormente l'attesa di questo film, ma lo sbarco a Venezia gli ha regalato un premio per la Miglior regia. 

In effetti la regia asciutta, ma indagatrice dell'anima è senza dubbio la qualità migliore del film. La macchina da presa di Garrone non smette mai di scrutare gli sguardi dei protagonisti e sono proprio quelli a raccontare ciò che le parole non possono fare. 

Ma è la sceneggiatura questa volta a tradire Garrone. Da un lato racconta in modo quasi documentaristico il viaggio dei due giovani nigeriani e tutte le angherie a cui sono sottoposti. Fin qui tutto ok, anzi, lo rende un film da mostrare a più italiani ed europei possibile, ma la scelta di un protagonista sempre così perfetto e corretto a far storcere il naso. Il protagonista è  un buono a tutto tondo, non ha mai un tentennamento, neanche di fronte alle prove più tremende. Un eroe senza macchia che alla fine, presumiamo, perché non ci viene mostrato neppure questo, la sua stessa innocenza finirà  per mettere nei guai. 

E non bastano un paio di inserti onirici, visivamente ad onor del vero stupendi, poco amalgamati col testo del film a salvarlo. Avere in protagonista buono, cosa che accade più nel suo cinema se non dagli esordi, sembra averlo depotenziato e questo è  davvero un peccato. 

Resta un grande regista che riesce sempre a piazzare la macchina da presa nel posto giusto, e la prima parte a Dakar è  a dir poco trascinante, gran direttore di attori (i due esordienti sono cosi veri e freschi da lasciare a bocca aperta), che forse decidendo per una colta di fare un film nevessario si è  fatto prendere troppo la mano. Vedetelo comunque, vi fara malamente bene.