Il cinema di Panahi nasce da un'urgenza: il bisogno di raccontare i problemi del suo paese, la voglia di stimolarlo e spingerlo ad abbandonare vecchi retaggi imposti da un regime inviso agli intellettuali liberi. 

Così la sua storia di regista confinato a causa di alcune pellicole precedenti ree di aver messo in cattiva luce il suo paese, diventa il pretesto per raccontare una società ancorata a vecchie credenze e che fatica ad ammodernarsi. Fa da controcanto il metafilm che il regista dirige via Skype dal paesello i cui protagonisti sono due esuli iraniani in Turchia, che cercano la via illegale per l'Europa. 

Gli orsi non esistono racconta di paure e freni autoindotti, di credenze fasulle create per non andare avanti... Però proprio quei blocchi sono la causa di dolore inutile ed evitabile. Storie di amori infelici che non sono nel loro tempo e nel loro spazio ma che necessiterebbero di respiro. 

È così la regia statica, distaccata, fredda di Panahi si fa espressione di queste storie. Creando quadri di bella solitudine in interni poveri  e modesti con l'aiuto di una fotografia naturale il racconto di Gli orsi non esistono procede verso l'inevitabile. 

Passato in concorso a Venezia dove ha vinto il Premio Speciale delle Giuria questo film nato clandestinamente e portato in giro per il mondo senza il suo regista recluso in Iran è un'opera, complessa, difficile e poco spettacolare. Sicuramente per un pubblico preparato, ma interessante e necessario.