Grandi scene di corsa non bastano

Il cinema di Michael Mann è da sempre costellato di coppie maschili molto forti, come in Insider, in Heat o in Miami Vice.
Evidentemente il lato romantico non gli si è mai adattato e si vede chiaramente in questo Ferrari dove è proprio il personaggio femminile della moglie a zoppicare pesantemente.

Penelope Cruz, costantemente in overacting, si trova ad interpretare un personaggio ricco di cliché, lo stereotipo della donna italiana che piace oltreoceano, davvero imbarazzante. Da qui partono i problemi di sceneggiatura del film che soprattutto nella prima parte zoppica pesantemente.

Proprio a questo proposito non possono che tornare alla mente le parole di Favino all'uscita della proiezione che chiedeva alla produzioni di ingaggiare attori italiani ad interpretare personaggi italiani. Probabilmente sarebbe più utile avere sceneggiatori locali piuttosto che attori in modo da riuscire a raccontare un luogo senza cadere in banali cliché.

Poi però arriva la seconda parte, inizia la Mille Miglia, rombano i motori e la regia di Mann si accende. La maestria nel dirigere scene di corsa, la capacità di portare lo spettatore sul sedile delle auto da corsa è innegabile. Il montaggio diventa trascinante e qui tutto funziona.

Passato in concorso a Venezia dove però, giustamente, non ha raccolto premi, Ferrari è un'opera zoppicante, che trova nel cast tecnico la sua forza maggiore. La fotografia, capace di esaltare il rosso Ferrrari in opposizione al grigio/nero della vita dei protagonisti è un'altra ottima caratteristica. Si può vedere, ma siamo lontani dal film memorabile.