Due film diversi: questo è Challengers che per 2 ore ci ammorba con le turbe sentimentali e davvero poco sessuali (al contrario di quanto voleva far credere la pubblicità), dei tre protagonisti pronti a tutto e al contrario di tutto per ingarbugliare un po' la trama e preparare la strada allo scontro finale, ovvero 25 minuti di scontro tennistico girato in modo magistrale anche se a tratti ridondante come tutto il cinema di Guadagnino.
Infatti confesso di non amare Guadagnino sin dalle sue opere precedenti e questo Challengers è la summa di tutti i suoi pregi e di tutti i suoi difetti.
Perché sono innegabili le capacità registiche di del regista italiano ormai in pianta stabile a Hollywood. Una tecnica ineccepibile e un punto di vista sempre personale. A volte però gigioneggia e la continua voglia di stupire gli sfugge di mano. In questo Challengers l'ultima mezz'ora è notevole: la sua regia unita al montaggio e la colonna sonora creano qualcosa che sul grande schermo non si vedeva da un po', ma resta sempre quella sensazione che avrebbe potuto fare un pochino meno.
Anche perché questo tipo di regia si accompagna ad una sceneggiatura che dire ridondante è dire poco. Le prime due ore sono un concentrato di insicurezze, contraddizioni e comportamebti illogici che nell'intenzione dello sceneggiatore dovrebbero creare il substrato per l'incontro decisivo, ma che in realtà appesantiscono il tutto. In un'oretta si sarebbe potuto dire tutto e rendere più credibili gli screzi tra i protagonisti che secondo la sceneggiatura sarebbero durati anni e anni.
Ne esce un film discontinuo, irritante (chissà perché quando scrivo di Guadagnino prima o dopo questo aggettivo lo uso) costruito in modo abbastanza modaiolo sulla figura di Zendaya alla continua di un continuo linguaggio cool. Probabilmente da vedere meno probabilmente da amare.