Alla terza prova da registi i fratelli D'Innocenzo incappano nel loro primo scivolone. Se La terra dell'abbondanza li fece scoprire e Favolacce, più o meno a ragione, li consacró, America Latina rallenta la loro ascesa.

L'opera infatti, perdendo il respiro più corale e perdendo il racconto della periferia e delle situazioni sociali più disagiate non riesce a centrare il registro del film più intimista e problematico. Amplificare l'effetto fiaba dei fratelli Grimm ha portato a una ridondanza esagerata. Si sfiora l'horror, ma senza crederci sino in fondo, si resta nel drammatico accentuando troppo le immagini crude.

Le inquadrature risultano spesso forzate e al limite del comprensibile, il gioco di linee orizzontali e verticali seguiti dalla cinepresa alla fine disorienta e il risultato è un'opera che procede per accumulo più che per coerenza. L'aver scelto come protagonista un benestante, invece del popolo della periferia, inoltre li rende meno incisivi nella scrittura del personaggio soprattutto nella parte iniziale. Difficile stupirsi per qualsiasi cosa in un film in cui tutto è fuori posto.

Senza fare spoiler il soggetto di America Latina è già stato portato sul grande schermo diverse volte e spesso con risultati più convincenti. Certo resta la bravura di Elio Germano, sempre credibile nel suo dolore e il suo sostenere continuamente l'inquadratura addosso. A pochi centimetri.

Passato in concorso a Venezia lo scorso anno senza raccogliere grandi favori America Latina resta un film incompiuto che non trova la sua quadra, neppure nel finale. Difficilmente sarà aiutato dal passaparola degli spettatori in sala già poco avvezzi a opere del genere.

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