SGUARDI DAL MONDO: RUBEN ÖSTLUND

La cinematografia Svedese, e quella scandinava per estensione, ha un grande maestro che l'ha fatta conoscere nel mondo per quasi quarant'anni: Ingmar Bergman. È  inevitabile che chiunque arrivi da quelle latitudini debba fare i conti con questo maestro e, volente o nolente, ne subisca condizionamenti. 

Ruben Östlund, leva 1974, approda al cinema dopo diversi documentari sportivi, ma con Gitarrmongott  fa il salto verso il cinema di fiction. Opera in cui molti attori non sono professionisti e interpretano se stessi, ma in cui si inziano a delineare le caretteristiche di quello che sarà il suo cinema più conosciuto e premiato. 

Sarà Involuntary, il suo primo film ospitato in una sezione collaterale di Cannes a dargli visibilità.  Già in questa pellicola del 2008 si affina lo stile personale e le tematiche di Östlund, che con la sua macchina da presa si sofferma con pazienza ad osservare la comicità involontaria dell'esistenza umana. Lo fa attraverso cinque storie che si alternano avendo per protagonisti giovani, ragazzine e persone più adulte senza soluzione di continuità.  

Il seguente Play farà parlare di sé per la tematica e per il punto di vista. Col suo stile distaccato e statico ci racconta le babygang di Goteborg in un crudele gioco psicologico con risvolti finali inaspettati e poco edificanti. Nella società moderna comportarsi nel modo corretto è  sempre più difficile e la morale sempre più  relativa. Un film capace di mandare in tilt qualsiasi spettatore. 

L'affermazione definitiva arriva però con Forza maggiore. Per la prima volta i dialoghi assumono un'importanza fondamentale e la critica verso l'uomo della società moderna si fa sempre più esplicita. Östlund affonda il coltello nell'egoismo della nostra società dove un papà non vede più la salvezza della propria famiglia come prioritaria, ma è talmente assuefatto dal suo egoismo da neanche accorgersene. Con l'utilizzo della colonna sonora che accentua l'effetto straniante  e la camera con qualche movimento in più tocca l'apice della sua cinematografia descrivendo una profonda crisi emotiva affondando il coltello dialogo dopo dialogo. 

Così arriva il concorso pricipale di Cannes e la prima, si perché a stretto giro ce ne sarà una seconda, Palma d'oro della carriera con The square. Riprendendo alcuni temi tipici del suo cinema come la pusillanime vendetta degli adulti sui bambini o l'inettitudine del uomo moderno, questa volta affonda maggiormente le dita nella satira di costume che diventa il motore trainante della pellicola. Straniante e provocatorio, forse più prevedibile dei precedenti, ma di impatto. Successo internazionale indiscusso e nomination all'Oscar per il miglior film straniero. 

Seconda Palma d'oro a Cannes e Nomination all'Oscar come miglior film in assoluto per la sua prima opera in lingua inglese. Triangle of sadness è un vero successo internazionale. Diviso in tre parti principali il regista accentua ulteriormente il lato sarcastico e non risparmia nessuna nefandezza ai ricchi. Una prima parte più  vicina a Forza maggiore, una seconda invece a The square nella terza assistiamo in un mondo alla rovescia dove sono i poveri prendono il sopravvento, ma nel pessimismo östlundiano non c'è salvezza. 

Ormai entrato nella storia del cinema come uno dei pochi registi che ha vinto 2 volte la Palma d'oro Östlund è un regista fedele alla sua terra e all'idea che si ha di lei. Un cinema freddo, cinico, ma penetrante e profondo che gioca al gatto e al topo con lo spettatore. Impossibile uscire indifferenti dalla sala dopo un suo film se si ha la voglia e l'intelligenza di mettersi in gioco. Serve anche un po' di pazienza, perche il paradosso spesso si svela con inquadrature lunghe o addirittura fuori campo, ma il compito di un regista non è decidere appunto cosa mostrare e cosa no?