SGUARDI DAL MONDO: CRISTIAN MUNGIU

 

La prima volta che un regista viene selezionato per il concorso di Cannes è una festa, se poi arriva la Palma d'oro si diventa quasi un eletto. 
Effettivamente questa aura di eletto, o perlomeno di capofila di quella che può essere definita la new wave romena, dopo quel Festival di Cannes si è attaccata addosso a Cristian Mungiu probabilmente anche perché fu assistente di regia di Radu Mihaileanu per Train de vie, opera che riportò la Romania sui grandi schermi di mezzo mondo.  

In realtà l'esordio nel lungometraggio arriva nel 2002 con Occident, una commedia ad episodi con diversi incastri che lo segnala all'attenzione della critica. Ma è  appunto con 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni che per Mungiu arriva la consacrazione: Palma d'oro a Cannes e plauso unanime da parte della critica. Emergono i temi di denuncia verso la Romania, paese che non ha mai superato l'uscita dal Comunismo. 

La denuncia di un'oppressione passata è solo lo specchio della situazione contemporanea. La sua regia asfissiante pedina la protagonista, la indaga anche nell'animo per arrivare ad un'inquadratura finale che raggela il sangue. Un'opera asciutta, diretta, spiazzante, ma davvero imperdibile capace di raccontare lo spaesamento di una donna alle prese con una gravidanza indesiderata. Una persona abbandonata da tutto e tutti in balia di soli uomini senza scrupoli. Estremamente moderno anche oggi. 

Continua a criticare l'era Ceuasescu, ma questa volta in chiave goliardica, scrivendo un film ad episodi e girando con registi esordienti romeni I racconti dell'età dell'oro. Esperimento in chiave commedia italiana dove le storie sono leggende metropolitane del periodo. 

Torna a Cannes e vince nuovamente il premio per la sceneggiatura e quello per l'attrice con Oltre le colline. Il suo resta uno sguardo rigoroso, ma questa volta, raccontando una storia vera di qualche anno prima, la critica viene rivolta al potere religioso. Mungiu denuncia senza remora l'ignoranza portata dalle credenze religiose ancora troppo diffuse nelle campagne della Romania. Non si risparmia nel raccontare la follia delle presunte possessione demoniache e degli esorcismi. 

Solo con Un padre, una figlia, girato nel 2016, arriva un film ambientato nella società romena contemporanea. Nuova partecipazione e Cannes e questa volta premio per la Miglior regia. E nella contemporaneità non si poteva che denunciare la corruzione. Mungiu mette in crisi il protagonista costringendolo a fare i conti con la sua etica sino ad allora irreprensibile. Per aiutare la figlia un uomo può rinnegare la sua integrità etica? Questo quanto può costare? Mungiu anche questa volta incastra il suo protagonista in continue inquadrature strette che descrivono dialoghi a due sempre più ansiogeni. 

È uscito in nelle sale italiane la scorsa estate la sua ultima grande fatica Animali selvatici. Nuovo concorso a Cannes per un film che scava nel razzismo strisciante della società moderna. Il suo sguardo impietoso si volge su un piccolo villaggio dove l'arrivo di forza lavoro straniera (in un mondo globalizzato dove gli uomini romeni lavorano in Germania e Italia) scatena le paure peggiori della brava gente.
Un ennesimo piccolo gioiello. 

Quello di Cristian Mungiu è un cinema etico, che sbatte in faccia la realtà allo spettatore, lo costringe a guardarsi nel quotidiano. Spesso ci si chiede come ci saremmo comportati al posto di quei personaggi ed è inutile sottolineare che il più delle volte la risposta non può che inquetarci. Nelle gabbie dorate di una vita libera si muove il percorso obbligato dell'umanità... o forse no? Probabilmente dai film di Mungiu non se ne esce neppure dopo la loro fine perché quel 
senso di oppressione e di impotenza ci accompagnerà anche dopo la visione.
È cinema antispettacolate, ma che se si ha la pazienza e la voglia di seguire senza pregiudizi e a cuore aperto non può non scuotere. 

Con questa scheda apro una piccola rubrica mensile che proverà a raccontare alcuni registi contemporanei di tutto il mondo. Vi aspetto!