PLEASURE (‘108)
di Ninja Thyberg
con Sofia Kappel
 
Linnéa proviene dalla Svezia, dove reputa siano tutti pazzi, per inserirsi nel mondo porno di Los Angeles con il nome di Bella Cherry.
Ha diciannove anni, ama postare foto hard sui social e inizia il suo percorso condividendo con altre ragazze l’appartamento di un agente.
Bellissima, acerba e estremamente sensuale non sa come muoversi e la sua ingenuità non esita a manifestarsi.
Tuttavia alza il tiro, vuole diventare una Spiegler Girl ossia la pornostar più famosa nelle mani dell’orrendo talent agent americano di una delle migliori agenzie dell’industria cinematografica per adulti.
Il gioco al rialzo che ogni nuova ripresa le presenta, come quella di introdurre la violenza, arriva a destabilizzare ferocemente le sue ambizioni. 
Firmare ogni volta documenti in cui si esplicita la propria identità e il consenso a procedere non garantisce infatti alcuna tutela: la ragazza può dire STOP, quando può,  o fare cenni per far comprendere che non può continuare…ma l’esercizio di ricatto manipolatorio che viene esercitato dalla troupe, solo apparentemente gentile e comprensiva,  fa ricadere solo su di lei le responsabilità di intralcio alla carriera nonché il danno economico che ne deriva.
Scegliere di procedere con atti sessuali violenti significa infatti dover sottostare a umiliazioni, prevaricazioni, degradazioni, stupri tali da dover annullare completamente la propria volontà e mettere a duro rischio la salute fisica.
Il “doppio anale interraziale” non è un cocktail!
Questo e non solo è il messaggio della Thyberg, quello di far riflettere sul concetto di consenso: 
scegliere di intraprendere quella carriera fino a che punto è una scelta cosciente?
Quanti livelli di consapevolezza ci sono?
Da quale manipolazione socio-economico-culturale derivano le ragazze e i ragazzi che optano per questa professione?
Si anche gli uomini e i ragazzi del porno, sebbene artefici su comando della umiliazione dell’immagine femminile quanto sono schiavi di un mercato che li vuole sempre virili, eretti, prevaricanti, violenti, impavidi e stupranti? E quindi umiliati a loro volta?
 
Come il sesso a pagamento il porno raccontato dalla Thyberg, attraverso lo sguardo inesauribilmente malinconico, avido, incosciente, disturbato e disturbante della protagonista, recita così…
 
Quanto vuoi che io ti renda per la tua erogazione in denaro che vorrebbe comprare ciò che la tua vita non è stata in grado di ottenere? Se vuoi io ti vendo anche l’umiliazione con cui tu, da buon masochista, vorresti umiliarti, obbedendo agli ordini, che dietro tuo, e altrui, ordine io dovrei darti. Tutto ciò mi fa sospettare che, sotto sotto, quello che vuoi comprare non è il sesso, ma il potere su un altro essere umano, per raggiungere il quale sei disposto persino alla tua degradazione.
( U. Galimberti, Le cose dell’amore)
 
Bella Cherry è la rappresentazione del sacrificio umano richiesto dal discorso del capitalista, quel discorso di un mercato che riduce la legge alla propria volontà di godimento; una legge senza legge dove è inutile qualunque firma, garanzia, consenso…
L’ipocrisia feroce e crudele del business del porno, dove l’acquirente, prevalentemente maschio patriarcale, si eccita solo attraverso la degradazione dell’avversario donna, come insegnano le comunità della manosphere, procede senza esitazione a alzare o meglio abbassare il livello della prestazione.
La Thyberg dopo un cortometraggio sullo stesso tema, si concentra con stile su un fenomeno così sconosciuto, perché piuttosto impenetrabile e poco studiato. “La prospettiva maschile per uno spettatore maschio”, sostiene la regista, “pone sempre la donna come oggetto sessuale al centro dell’inquadratura” per la quale tuttavia non è previsto alcun piacere… sebbene sia ampiamente recitato.
Nelle nostre società “emancipate”, dove scorrono fiumi di denaro, deve passare anche l’idea di “libertà sessuale”, che per essere garantita agli uomini, deve ruotare intorno al tema della “scelta” delle donne per avviarle più ipocritamente alla schiavitù economica e psicologica.
Come lo sguardo di Emmanuelle Bercot in Student Services non aveva fatto sconti alle immagini e al vissuto della protagonista anche quello di Ninja Thyberg  in Pleasure risulta ostico e impietoso: le licenze pornografiche che si concede la pellicola sono tuttavia prive di qualunque cedimento voyeristico; le inquadrature, spesso disturbanti e analitiche sono intersecate dal Confutatis in C minore, tentativo musicale di conferire sacralità al sacrificio del corpo di Bella Cherry anche quando la crudeltà si accanisce tra il femminile stesso.
 
Tutto ciò non è da mettere in conto, come vuole Freud, al “naturale masochismo femminile” ma a quel meccanismo di adattamento che è facile riconoscere in ogni gruppo oppresso, i cui membri, se non cooperano alla propria oppressione interiorizzano l’odio e il disprezzo del loro oppressore, finiscono per essere puniti e al limite perire. Questo perverso meccanismo deve richiamare tutta la nostra attenzione. Esso è noto non solo alle prostitute (o alle pornostar), ma anche alle mogli devote e fedeli.
(U. Galimberti Le cose dell’amore)
 
Pleasure ha la virtù di farci riflettere su tutto questo: il diktat del mercato, il discorso della servitù volontaria, il problema della scelta e della coscienza della stessa…
 
Il carattere femminile, e l’ideale di femminilità su cui si modella, sono prodotti della società maschile. L’immagine della natura indeformata sorge solo nella deformazione come antitesi di questa. Là dove finge di essere umana, la società maschile educa nelle donne il proprio correttivo, e rivela, attraverso questa limitazione, il suo volto di padrone spietato.
Il carattere femminile è il calco, il negativo del dominio: ed è quindi altrettanto cattivo. Quello che i borghesi – nel loro accecamento ideologico – chiamano natura, non è che la cicatrice di una mutilazione sociale. (………)
La menzogna non consiste solo nel fatto che la natura è affermata solo là dove è tollerata e inquadrata nel sistema: ma ciò che, nella civiltà, appare come natura è, in realtà, agli antipodi della natura: è la pura e semplice oggettivazione. (……)
Egli (Nietzsche) commise il fatale errore di dire “la femmina” parlando della donna. Di qui il perfido consiglio di non dimenticare la frusta: quando la donna è già l’effetto della frusta! La vera liberazione della natura sarebbe la fine della sua fabbricazione artificiale. La glorificazione del carattere femminile implica l’umiliazione di chiunque lo possiede.