Nakagawa, maestro del cinema horror "classico" giapponese dirige un film solido dove costruisce tutto il dramma nei primi due atti per poi concentrarsi sull'horror nel finale con sequenze bellissime e memorabili.
Il film, come del resto il cinema di Nakagawa e il j-horror pone subito l'accento sul "classismo" dunque su una questione socio-politica perchè il samurai Fukumi non tollera che il massaggiatore, per giunta cieco, Soetsu, voglia dei soldi da lui, soldi che il samurai gli deve.
La goccia che fa traboccare il vaso per Fukami è quando Soetsu, in ginocchio, dunque Nakagawa enfatizza la differenza di status sociale che ricorda lo stesso samurai, implora Fukami di pagarlo, lo tocca, "invade" il suo spazio e da qui la collera del samurai.
Il simbolismo dell'acqua è centrale sia nella mitologia giapponese sia nel cinema di Nakagawa, la zona paludosa, i fantasmi che perseguitano Fukami avranno culmine nella scena acquatica.
Il passato piomberà sul figlio del samurai, Nakagawa imbastisce il dramma, il melò con il figlio del samurai alle prese con due love story con due donne molto diverse.
E' anche interessante vedere come una di queste donne, Hisa, vuole sfuggire da un matrimonio praticamente annunciato cercando di fuggire con il figlio di Fukami.
La regia di Nakagawa è ottima, sa gestire benissimo le inquadrature, l'uso dello spazio, creare scenari suggestivi e d'atmosfera, la palude tra la nebbia è perfettamente ricreata. La forza del regista sta anche nel sapere gestire i momenti i generi, i momenti da samurai, il dramma e ovviamente l'horror.
Oltre all'eleganza la regia mostra movimenti di macchina ottimamente eseguiti come ad esempio quello iniziale che va a mostrare nuovi dettagli degli scenari e andare sui personaggi.
La sequenza dove la signora Rui si specchia, non a caso, sull'acqua è fantastica, la regia prima si prende il suo tempo mostrando l'assenza dello specchio alimentando la tensione e successivamente il riflesso dall'acqua mostrerà il viso malforme della donna.
Rui è lo stesso un personaggio che si rifà direttamente alla mitologia giapponese, la donna tradita, un personaggio che incarna un'emozione ben precisa dunque rispecchia i canoni del fantasma del j-horror che di fatto già vengono "settati" nei film di Nakagawa.
Tutta la sequenza finale è atmosferica e magistrale, il fantasma che appare e scompare, tutto lo scenario per come è gestito e inquadrato, cioè la palude con quell'acqua fangosa è meraviglioso e d'impatto.
I fantasmi che emergono dall'acqua, un passato che ritorna, il concetto di vendetta eterna che con Sadako avrà forse la sua massima espressione di popolarità di fatto viene da qui.
Nakata, regista di Ringu, deve volte ai film di Nakagawa, la critica sociale, i fantasmi, il come inquadrarli, l'elemento mitologico dell'acqua; Nakagawa è un regista che ha fatto ampiamente scuola e The Ghost of Kasane funziona nei suoi aspetti nel creare dramma, horror, nei tempi di attese e nelle atmosfere con un finale ottimo che non lascia scampo per nessuno, i fantasmi del j-horror sono inesorabili, devastanti come può essere un mare in tempesta.