Recensione di   Balkan Castevet Balkan Castevet

Safe

(Film, 1995)

Todd Haynes dirige un film sullo sgretolamento della vita borghese con una forma da horror psicologico.
La storia è incentrata sulla protagonista Carol, Julian Moore, dove attraverso la regia di Haynes viene sempre inquadrata distante da ogni situazione, sia nei rapporti familiari sia nei suoi hobby e tra le amiche.
La regia da sempre molto spazio all'ambiente ma anche tramite il come viene posizionata Carol nell'inquadratura fa si che la resa sia quella di un perenne disagio per la protagonista, mai piena di se e sempre dominata dallo scenario.
La fotografia e le messa in scena sono ottime, sono bellissimi i contrasti tra i colori pastello della casa borghese di Carol con quello che sta provando; molti quadri vanno a ricordare Douglas Sirk anche per le scelte cromatiche.
Il film sa anche anche su toni più scuri, qui è bellissima un'inquadratura che mescola il verde scuro al nero a racchiudere la crisi di Carol nella "struttura" cui si troverà per cercare di "guarire".
La protagonista è una casalinga, o meglio, "homeworker" come preferisce essere chiamata benestante ma dove da subito sia tramite le inquadrature che per lo starnuto, a simboleggiare l'inizio della malattia, la regia fa capire che qualcosa non va.
Tutta la storia è interessante e ben strutturata perchè procede prendendosi i giusti tempi e a differenza di altri film, come ad esempio il più recente Swallow che ha diversi aspetti in comune con Safe, la protagonista Carol non è isolata, potenzialmente ha sia una famiglia, un gruppo di amiche, i suoi hobby ma tramite la regia anche quando è in presenza di altre persone viene posta come fosse a disagia e sì anche isolata.
L'interesse per l'arredamento, la palestra, l'acconciatura di capelli, insomma tutte le attività di Carol non saranno mai rilassanti ma progressivamente tutto quello con cui è a contatto sembrerà provocarle danni sia fisici che mentali.
Memorabili le inquadrature dove Carol, al centro della scena, tramite lenti movimenti di macchina ad avvicinarsi verso lei si vedono le sue reazioni; volendo è paradossale come la macchina da presa più si avvicini alla protagonista più questa si sentirà soffocata.
Una regia che utilizzerà con parsimonia i piccoli movimenti di macchina ma che prediligerà inquadrature fisse con long take.
La fuga dalla vita borghese la porterà ad accettare il rifugio presso una sorta di setta con a capo il "guru" Peter.
E' molto interessante come Haynes nello stesso film critica sia la vita borghese ma anche la soluzione anti-sistema non lasciando facili soluzioni.
Procedendo per allegoria la critiche che pone il registe non risultano didascaliche ne "faciloni", anzi non c'è ma un giudizio netto di Haynes ma il tutto è lasciato allo spettatore.
Anche il personaggio di Peter non viene criticato apertamente nel film, ma l'inquadratura che mostra la sua abitazione sfarzosa sopra di tutto fa comprendere come lui stia lucrando da tale situazione.
Il finale è memorabile, Julian Moore mostra la sua bravura e regala un personaggio forse ambiguo, che accetta la situazione nonostante le evidenze, la sua non guarigione che contrasta con quanto afferma e la nuova vita nel "centro di guarigione".
Questo centro predicherà anche un ambientalismo, il multiculturalismo me sembrerà tutto molto fittizio, di fatto ponendo tematiche e discorsi attuali anche oggi.
Film che funziona sia come film in se, per la storia che narra, nelle sue allegorie con una regia e una forma di altissimo livello, tutto molto curato e di spessore.