Il terzo lungometraggio di Sorrentino, procedendo tra echi felliniani, dialoghi di filosofia spiccia ed un’insistente ed invadente colonna sonora di musica elettronica, approfondisce ancora una volta il tema della solitudine. Questa volta il regista napoletano si serve di una figura tragicamente “vampiresca” dedita all’accumulo di denaro - l’unica cosa che può davvero possedere, ma di cui non gode i più elementari vantaggi (vagabonda per le strade indossando un cappotto liso, mangia solo riso in bianco, beve acqua del rubinetto e ruba nei supermercati). L’unica relazione che riesce a stabilire con gli altri è quella ricattatoria del prestito ad usura. I legami normali (amicizia, amore) gli sono preclusi e per questo è facile preda delle macchinazioni della bella Rosalba e dei suoi accoliti. Da carnefice diventa vittima, una vittima però che non suscita nessuna empatia e in cui non si accende nessuna parvenza di umanità.