Opulenza e snobbismo, ma anche rigore ed estro. O lo ami e lo apprezzerai sempre più, o non ti piace e ti annoierai a morte. Wes Anderson non è mai stato un “mio” Autore, benchè ne abbia vista gran parte (anzi direi quasi tutta) della sua produzione, solo dopo che è diventato uno dei registi preferiti dal mio figlio tredicenne, l’ho guardato con l’occhio giusto. La sua messa in scena è il suo stile, una cifra personalissima e ripetitiva, un marchio di fabbrica sempre più curato nel dettaglio, sempre più bidimensionale, sempre più fumettistico. I colori, la fotografia sono così ricercati da apparire finti, perfetti per essere appesi alla parete come quadri. E, infatti, le carrellate orizzontali (ma i suoi set sono tutti girati al Km Rosso della Brembo???) cosa sono, se non quadri in movimento sulla parete bianca dello schermo del cinema?
Incredibile il cast di superstar, mai così ampio e di qualità come in questa occasione. Difficile dire chi ne esce meglio o chi è più nella parte, ma Benicio del Toro merita una solitaria citazione. Le storie sono curiose, verbose, dilatate, ma se ci si lascia coinvolgere si sorride spesso e il divertimento/piacere è garantito.
Desplat (che non amo) è sempre funzionale all’accompagnamento sonoro dell’opera di W.Anderson e anche questa volta è perfetto con le sue marcette.
Film fuori dagli schemi, ma perfettamente in sintonia con le precedenti opere dell’Autore e con il suo pubblico fedele. Il rischio è che la fidelizzazione dello spettatore porti sempre più a radicalizzare i giudizi degli spettatori, riducendo sempre più la platea a cui il film è rivolto