La famiglia Rossi è protagonista di CODA, il delizioso lungometraggio (diretto dalla regista Sian Heder) con cui ho concluso alla grande l'edizione 2021 del TFF. 
Il titolo con le lettere tutte maiuscole ci porta a intuire che si tratta in realtà di un acronimo: Children of Deaf Adults. La protagonista del film, la diciassettenne Ruby, è, infatti, l’unica persona udente in una famiglia con padre, madre e fratello sordi.  
Il film, che ha fatto incetta di premi al Sundance 2021, è un distributore di emozioni come ne ho incrociati pochi durante quest'ultima stagione cinematografica. La pellicola ha il suo punto di forza in un cast eccezionale: oltra alla magnifica prova di Emilia Jones (l'attrice inglese che interpreta Ruby e che avevamo già apprezzato nell’horror di Pascal Laugier “Ghostland - Casa delle bambole”) colpiscono le prove degli attori che interpretano i restanti componenti della famiglia e che, a differenza di quanto accade nel film francese “La famiglia Bélier” di cui CODA è il remake, sono realmente sordi. Tra questi ultimi spicca Marlee Matlin, che aveva vinto l'Oscar per Figli di un Dio minore.  
Il motivo portante del film è introdotto dalla canzone di Etta James “Something's Got a Hold on Me” che Ruby canticchia all'inizio: il profondo amore per i suoi familiari la trattiene dal prendere la strada suggerita dalla sua passione per la musica che la allontanerebbe da loro. Per la sua famiglia Ruby rappresenta un veicolo di comunicazione importante verso il mondo esterno (anche nell'ambito dell'attività di vendita del pesce gestita dal padre e dal fratello) a cui soprattutto i genitori trovano difficile rinunciare. D'altra parte non è affatto semplice per la ragazza comunicare loro la sua passione per la musica ed il canto. Scena emblematica in tal senso è quando i genitori assistono ad una sua esibizione scolastica: non potendo sentire sono focalizzati sull'aspetto visivo dello spettacolo (le sue movenze, l'affinità dei colori del vestito con quelli della scenografia e così via). Ma poi succede qualcosa che li scuote e per descrivere questo turning point la regista coinvolge direttamente anche noi del pubblico: nel film (e di riflesso nella sala) cala il silenzio; adesso tutti viviamo la scena come la stanno vivendo i genitori di Ruby che distolgono lo sguardo dal palco e lo indirizzano verso gli altri spettatori e al loro evidente apprezzamento (manifestato con sorrisi e gesti di approvazione) per lo spettacolo a cui stanno assistendo. Ecco quindi che comincia a crescere in loro la consapevolezza dello straordinario talento di cui è dotata la figlia e alla necessità di favorirlo a tutti i costi. Il film è costellato di scene emozionanti come questa (basti ricordare quella in cui il padre di Ruby accarezza la gola della figlia per cercare di percepirne in qualche modo la voce o quando la ragazza non riuscendo ad esprimere al maestro la sua passione per il canto con le parole lo fa utilizzando il linguaggio dei segni). Diverse sono poi le scene divertentissime (su tutte quella esilarante del padre che va dal dermatologo) e quelle dove la musica è protagonista (con interpretazioni di livello su canzoni da Joni Mitchell a David Bowie). In conclusione un coming of age classico che però eccelle a mio parere per il tocco delicato con cui la regista riesce a trattare temi importanti.