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Difficile aggiungere elementi di riflessione su un film di quasi 80 anni fa. Un capolavoro assoluto che andrebbe studiato in ogni corso di cinema che si rispetti. Un primo tentativo di film interamente in piano sequenza (in realtà sono 10, solo perché la bobina non consentiva di effettuare tutto il girato, senza dover "tagliare"). Questo espediente non ha solo lo scopo di impressionare lo studioso di cinema, ma anche uno funzionale: portarci dentro la stanza con i personaggi e non staccare mai lo sguardo dal baule, una cassapanca dove è stato depositato un cadavere, poco prima di un ricevimento. Hitchcock, nel perfetto stile che ne contraddistingue le sue opere, ci svela subito delitto ed assassini.
Simile ad una rappresentazione teatrale (infatti è basato sull'omonimo lavoro di Patrick Hamilton del 1929), il film ci presenta pochi personaggi, dei quali non fatichiamo a delineare subito personalità e relazioni, e uno spazio limitato a tre ambienti (sala da pranzo, ingresso e salotto). In questo modo, costruire una narrazione che cattura subito è più semplice. Inoltre, la durata limitata (80 minuti circa) consente di seguire tutta la vicenda, immedesimandosi ora con l'improvvisato investigatore (James Stewart), ora con gli strangolatori (John Dall e Farley Granger).
Culmine della narrazione è la ricostruzione dei fatti che l'ex professore dei due colpevoli prova a fare del percorso della vittima. La telecamera si muove senza che vi siano persone nell'inquadratura, simulando il movimento di un personaggio ipotetico (della vittima che, essendo appunto morta, è assente dalla scena).
Due curiosità: questo è il primo film a colori di Hitchcock e non è stato disponibile per decenni (insieme ad altri 4 famosi suoi capolavori) a causa di una disputa sui diritti. Hitchcock stesso, infatti, aveva acquisito i diritti di cinque suoi film e li aveva lasciati in eredità alla figlia Patricia.