Ha un bel dire Gianni Amelio che il suo Hammamet non vuole essere un film politico bensì sulla fine di un uomo solo.Non basta cambiare i nomi, come nel caso di Stefania Craxi che diventa Anita (Livia Rossi), oppure non farli affatto come per il figlio Bobo (Alberto Paradossi dalla somiglianza straordinaria).Non è sufficiente nemmeno scegliere un’amante (Claudia Gerini) come personificazione di tutte le donne che ruotavano accanto al leader, oppure affidarsi alla memoria collettiva sperando che il pubblico riconosca in Giuseppe Cederna l’allora segretario amministrativo del Psi Vincenzo Balzamo.Ed è inutile anche non fare mai il nome e cognome del convitato di pietra quando poi ti affidi ad un Pierfrancesco Favino che, letteralmente, incarna e diventa Craxi in una performance da brividi pur riuscendo al tempo stesso (e qui sta la sua grandezza) a far trapelare se stesso uomo ed attore sotto la maschera.C’è poco da fare, Hammamet non sarà un film politico ma sicuramente è un film militante.Resta da capire di cosa parli Amelio e a chi si rivolga.A noi sembra che da questo punto di vista tutto il senso dell’operazione stia nella metafora della finestra rotta.Il film infatti si apre con un bambino (scopriremo che è Craxi da piccolo) che prende a sassate le finestre e si chiude nuovamente con un vetro rotto.Potrebbe essere la metafora del sogno del leader politico che si infrange in mille pezzi.Oppure quel sasso è il film stesso di Amelio, una provocazione lanciata sul pubblico e sulla storia.Il Presidente, come viene chiamato nel film, dalla sua latitanza in Tunisia continua a riflettere sulla situazione italiana.Ammonisce contro un parlamento servo che, pur di salvarsi, fa eleggere lo stesso giudice che voleva mettere sotto accusa un’intera classe politica.Analizza la scomparsa della parola popolo sostituita dal più generico gente, in una mutazione antropologica, sociale eLeggi tutto