Lei di spalle mette un disco sul piatto. La canzone che parte è “Death” dei White Lies. Lui è in mezzo alla stanza e fa girare una palla da discoteca che riverbera l’ambiente con i suoi giochi di luce. Poi si avvicina alla donna, lei si gira e si accosta al suo collo. Essendo una vampira pensiamo stia per morderlo ma all’ultimo momento poggia la testa sul petto del ragazzo. Il battito del suo cuore viene amplificato a dismisura. La sequenza finisce. È durata tanto quanto la canzone che l’ha accompagnata.La memoria potrebbe ingannarmi ma ricordo una frase in cui il regista François Truffaut diceva che anche il film più brutto contiene un bel momento. Ecco quello malamente descritto sopra è uno di quei momenti perfetti che ti riconciliano col cinema, il mondo e forse la vita stessa. Un attimo perfetto. “A girls walks home alone at night” vive di questi brevi soffi di vita attorno ai quali, purtroppo, c’è solo tanta supponenza, una lentezza mortale, un’invincibile noia. Ana Lily Amirpour ha costruito un film perfetto per i Festival e per le platee come quelle del Sundance, non c’è che dire. Innanzitutto il bianco e nero, come si addice ad ogni film indie che si rispetti. Poi l’ambientazione, sottolineata da questa scelta cromatica. I personaggi del film sono poveri derelitti. Uno spacciatore, un padre eroinomane, suo figlio destinato a diventare anch’esso spacciatore, una prostituta, un bambino che va sempre in giro da solo. Si muovono in una città spettrale dove il fiume asciutto è pieno di corpi in decomposizione, nella quale non sembra esserci letteralmente anima viva, perennemente ripresa di notte come se non esistesse il giorno. Sullo sfondo pozzi di petrolio. Potrebbe essere una triste e squallida periferia americana non fosse che le scritte sono in arabo ed iLeggi tutto