Durante la festa di compleanno del figlio, un autoritario padre famiglia viene trasformato in pollo da un mago ciarlatano (per un trucco probabilmente andato storto). Da lì l’esordio di Omar El Zohairy inizia ad affrescare di assurdità un mondo tragicomico senza nome fatto di lerciume e sporcizia, una necropoli fantasma riempita solamente di fumi infernali simil danteschi, dove sudicie banconote vengono costantemente contate comprando e scambiando tutto. Ma di fronte a tali assurdità è impossibile farsi domande, perché prima ancora che narrative queste sono sociali. Assurda è la mancanza di diritti, di lavoro, la presenza di norme retrograde completamente ingiuste. Assurda è la condizione di quella moglie e madre (una bravissima Demyana Nassar) che prima sottomessa al marito, ora deve cercare come può di mandare avanti la famiglia, imprigionata però in un sistema sociale che non le concede alcuna libertà. Lei subisce passivamente, come l’asino di Au hasard Balthazar di Bresson, accetta, incassa, perché quell’irrazionale deve essere preso così com’è, come nell’equivalente borghese di Lanthimos deve fare la famiglia de ‘Il Sacrificio del Cervo Sacro’ nell’accettare l’assurda punizione.
La macchina da presa incede sugli angoli fatiscenti, spesso ricoperti di guano, con inquadrature statiche che diventano sintomo di un’immobilità sociale, che non permette mai alcun riscatto, nemmeno se possiedi quelle unte banconote. La staticità ironica di Roy Andersson si declina qui più magica, sociale, sovra-esistenziale, ma sempre e comunque cupa e nerissima nel suscitare un sardonico riso.
L’impressione, però, è che quel pollo sia uno dei tanti animali trasformati, o meglio: ri-trasformati alla loro vera natura. Perché in fondo forse ciò che più è assurdo è definirci umani in un mondo simile. Normale invece essere polli, bovini da macello, teste di maiale. Il complementare di The Lobster insomma, dove il mondo non è semplicemente dis-umano (cioè con un’umanità deformata), ma in-umano (cioè con un’umanità del tutto assente).