Dio è donna e si chiama Petrunya

Ripenserò spesso a questo film, ne sono certa, perché la tenerezza che ha suscitato nel mio cuore la protagonista, Petrunya, è smisurata. I suoi occhi dritti verso il futuro (che non c’è), sono quelli di ogni altra ragazza che rischia di essere vittima della “legge degli uomini”, che paralizza l’anima fino a trasformare un corpo – fatto di carne e ossa, di battiti, di desideri - in un manichino. 

Già, il maledetto sistema della discriminazione! Riusciremo mai a sconfiggerlo? Il film vuole essere un invito a riflettere su questo e prova a farlo con ironia, leggermente. Ma è infinitamente complesso e potente il senso racchiuso in quel piccolo gesto di Petrunya, che suscita così grande clamore nella comunità in cui vive. La narrazione degli eventi, veloce nella prima parte del film, in seguito rallenta permettendo allo spettatore di naufragare nell’animo dei personaggi, in particolar modo della protagonista. 

È laureata in storia e appassionata di rivoluzione cinese, Petrunya. Ma questo non sembra interessare a nessuno. Solo al padre (forse!), l’unico a non puntare mai il dito contro di lei. La madre? Acerrima nemica (“Non sei mia figlia. Sei una disgrazia!” le urlerà un giorno addosso), proprio come tutte le altre donne che sono state vinte dal sistema dimenticando il diritto di essere felici. 

Il film mi ha fatto pensare anche al dilagante fenomeno del body shaming (in un colloquio di lavoro viene toccato il fondo sotto tanti punti di vista e in caserma viene definita “vacca schifosa”) e al cannibalismo mediatico, anche se la speranza sottintesa è quella di poter “risvegliare la società” anche attraverso i nuovi strumenti social. 

Una scena mi ha conquistata più di tutte, quella in cui Petrunya scoppia in un pianto a dirotto, è stremata, e sta per darla vinta al branco di lupi che la circonda, ma una frase le viene in soccorso, sussurrata da un poliziotto: “Io vorrei avere il tuo coraggio”. Qualcuno che finalmente la vede e la risolleva dall’abisso della solitudine in cui è sprofondata. Parole che salvano.

La sceneggiatura non mi ha mai delusa e ha creato una certa suspense fino alla fine circa le sorti della protagonista.

Splendido anche il finale, a tu per tu con il rappresentante dell’autorità religiosa, al quale Petrunya chiede semplicemente: “Non lo avresti fatto anche tu?”. Una domanda che rimbomba e rivendica quel Dio che è innanzi tutto Amore. Creatore. E donna.