Come realizzare un film sull’autismo che non sia un documentario e che invece sia leggero, non banale e perciò interessante, perfino divertente? La risposta è in in The Specials – fuori dal comune (2019), opera di Olivier Nakache e Eric Toledano. Sono i due registi che insieme hanno realizzato già film popolari con contenuto sociale, come Quasi amici (2011), Samba (2014), e il più ironico C’est la vie – prendila come viene (2017).
Questa volta protagonista è l’autismo, nelle sue varie forme, soprattutto quelle più gravi, di cui nessuno vuole occuparsi. Si tratta di una condizione permanente, che di per sé non prevede cure: impedisce a chi ne è affetto di interagire in maniera adeguata con le persone e con l’ambiente. Ci sono centri (qualcuno anche di qualità) in cui chi è seguito, soprattutto se da età precoce, può trovare il modo di imparare a svolgere attività di un qualche peso nella società, anche imparando a gestirsi autonomamente nella vita quotidiana. Tuttavia a queste persone nessuno dall’esterno è in grado di imporre alcunché, occorre quindi molta pazienza e trovare la strada per trovare la strada che in ciascun caso può condurre ad una qualche intesa.
Nel film lo spunto è ciò che accade in una grande città come Parigi. Fin dall’inizio l’attenzione dello spettatore è portata verso i casi più disperati di cui Bruno accetta di occuparsi. Si tratta soprattutto di adolescenti che per la loro patologia, superate le crisi più acute, sono di per sé costretti a vivere rinchiusi nelle loro case assumendo psicofarmaci, almeno finché ci sia qualcuno che li possa assistere. Come man mano si apprende, qui, nel simbolo e cuore della Francia, dove ogni organizzazione deve sempre corrispondere alle leggi della Repubblica, si nasconde un difetto: da 15 anni un’associazione che si occupa di persone affette da autismo opera senza alcuna regolare licenza e per di più utilizza spesso personale impreparato, sprovveduto dei titoli di studio richiesti. Occorre un’ispezione severa su come opera l’associazione diretta da Bruno (magistralmente interpretato da Vincent Cassel).
L’intento di Bruno, chiamato costantemente in causa dai servizi sociali, è che a poco a poco, con infinita pazienza, anche questi giovani possano trovare un qualche modo autonomo di sopravvivenza. Ogni volta occorre inventarsi nuove soluzioni, perché ogni caso è diverso dall’altro, e le risorse sono quelle che sono, grazie alle donazioni e al volontariato.
La vicenda di Bruno è ispirata a Stéphane Benhamou, fondatore dell’associazione Silence des Justes, nata nel 1996, tuttora attiva con lo scopo di accompagnare bambini, adolescenti ed adulti nelle differenti tappe della vita (se ne può trovare la storia su Internet). Il partner di Bruno nel film è Malik (ben interpretato da Reda Kate), nella realtà Daoud Tatou, a sua volta a capo dell’organizzazione no profit Le Relais Ile-de-France.
I protagonisti sono non a caso incredibilmente all’opposto nella loro cultura e modi di vita: l’uno è ebreo, l’altro mussulmano; il primo è solo, il secondo è sposato. La comunità di Bruno gli propone costantemente incontri alla ricerca dell’anima gemella mentre lui ha la mente occupata altrove; e se per caso viene attratto da qualcuna al di fuori del gruppo religioso, viene richiamato subito ai problemi che deve affrontare. Bruno e Malik sono entrambi praticanti nelle rispettive religioni, uniti però dall’opera altruistica cui sono dediti. Nel film vediamo il succedersi di vari eventi collegati ad alcuni casi limite insieme al procedere dell’ispezione: ma più si indaga, più si percepisce la distanza tra le procedure e la vita.
La sceneggiatura non prevede una sequenza logica precisa di fatti e, così come verosimilmente accede nella realtà, vediamo tanti piccoli episodi, alcuni più seri (uno, ad un certo punto, sfiora la tragedia) e altri di vita quotidiana, qualcuno quasi divertente. Vediamo dunque i progressi, sempre lenti e al limite della regressione, soprattutto di chi come Josepf non riesce a viaggiare in metropolitana senza tirare l’allarme e sul luogo di lavoro è attratto a suo modo da una collega, e di chi come Valentin è costretto ad indossare sempre un casco per difendersi da sé stesso, fugge, ma non sa neanche lui da chi e da cosa. Insieme a loro, altri casi più o meno allarmanti, che richiedono comunque attenzione, perché da un momento all’altro c’è uno scatto, forse violento e comunque imprevedibile. Anche gli accompagnatori provengono almeno in parte dallo stesso mondo di disagio, anch’essi hanno bisogno di costante attenzione. Ci sono momenti in cui Bruno e di Malik li riuniscono: ad un certo punto sono insieme in un gioco, dove vince chi riesce a decodificare le innumerevoli sigle di organizzazioni riconosciute che dovrebbero far fronte al problema.
Si intuisce che chi non fa una bella figura è proprio l’organizzazione ufficiale, perché procede immancabilmente dando la precedenza alle forme senza riuscire a occuparsi concretamente degli ultimi, abbandonati a se stessi. Il titolo francese Hors normes mette in rilievo proprio l’assenza di regole. Il motore delle due associazioni è il cuore cui non si dettano regole, non la burocrazia. Nel titolo italiano l’attenzione è sulla straordinarietà dell’esperienza. Che certo è speciale, e fuori dal comune.
Come detto all’inizio, il film riesce a trattare questa materia problematica e seria in modo leggero, vivace ed arioso, coinvolgendo a fondo lo spettatore in un mondo che per la maggioranza di noi è poco conosciuto. Tra le righe, il messaggio è evidente. Di fronte a tutto ciò che succede, in particolare per i casi più gravi, appare del ridicola se non irriverente la pretesa di ricondurre tutta la realtà a leggi, regole, permessi e punizioni. Forse l’umanità sta (anche) altrove.