Senza troppi fronzoli, Bergman riesce a parlarci della morte in modo semplice, diretto e dannatamente lucido. L'impeccabile sceneggiatura racchiude la quasi totalità delle riflessioni sul tema che il sottoscritto abbia mai concepito in oltre trent’anni di sopravvivenza. A ciò si aggiunge il merito di un linguaggio filmico che pur legato agli stilemi del cinema classico è capace di oltrepassarli seguendo logiche ben precise, coerenti e motivate. Volendo trovare il pelo nell'uovo, i ritmi della narrazione e della regia rimangono sostanzialmente invariati, negando ad alcune scene il maggior risalto che forse meriterebbero. Ma si tratta di bazzecole. Menzione di merito per l'inquadratura finale che rimane impressa nella mente ben oltre la visione del film: non puoi fuggire alla morte? E allora seguila a passo di danza! Uno spunto, questo, ripreso con grande sensibilità artistica da Branduardi nel suo Ballo in fa diesis minore:

Sei l'ospite d'onore del ballo che per te suoniamo,
posa la falce e danza tondo a tondo:
il giro di una danza e poi un altro ancora
e tu del tempo non sei più signora
 
Tutto ciò, e molto altro, fa de Il settimo sigillo un capolavoro senza tempo.