Qualche tempo fa Valerio Caprara, noto critico cinematografico, ha scritto: «tra le motivazioni che spingono i registi a fare un film ce ne sono di nobili e d’ignobili, di profonde e di fortuite, di poetiche e di economiche, ma la peggiore è forse quella di volere divertirsi a girare con gli amici». Questo è il modo più edificante con cui mi sembra di poter commentare Grandi Magazzini, una pellicola che sicuramente ha avuto il merito di fugare ogni dubbio circa l’effettiva democraticità del cineforum da me organizzato. Per fortuna, nel delirio generale, capace di toccare vette inarrivabili grazie alle assurde sequenze con Heater Parisi, all’improvviso sbuca un attore vero, Nino Manfredi, che con una battuta ci regala qualche breve attimo di cinema. Ciò mi induce a conferire un voto in più rispetto al minimo possibile, cui si aggiunge un altro mezzo voto per l’unica battuta genuinamente demenziale di tutto il film: “Dobè la fiera del biango?!” Non spendo altre parole per un’opera così insensata, pretestuosa, apparentemente comica e tuttavia incapace di far ridere (almeno me). Certo, si potrebbe forse parlare di come il film rappresenti, al di là delle proprie intenzioni, il riflesso della società edonistica degli anni ’80, ma in questo modo potrei nobilitare ciò che a stento riesco a definire “cinema”, ed è un rischio che non intendo correre.