Recensione di   Henri Floyd Lynch Henri Floyd Lynch

Antichrist

(Film, 2009)
Antichrist narra la storia di due coniugi, dei quali non sapremo mai il nome, ma che possiamo chiamare Lui (Willem Dafoe) e Lei (Charlotte Gainsbourg). Un giorno, mentre fanno sesso, il loro unico figlio perde la vita; una tragedia evitabile, se solo non si fossero abbandonati a tanta lussuria. Lei, in particolare, è tormentata dai sensi di colpa e il marito, psicoterapeuta, decide di prenderla in cura, pur consapevole di violare il codice deontologico della sua professione. I due vanno nella loro casa nel bosco, dove Lei tenta di affrontare le proprie paure, soprattutto legate alla presunta malvagità della natura. Inizia così un confronto serrato che porta la coppia a mettersi in gioco spingendosi ben oltre i propri limiti psicofisici. Se la trama del film è semplice, molto più complesso è districarsi tra i simbolismi e le allegorie che lo popolano.  Antichrist, infatti, dipinge un cosmo lugubre dove cristianesimo e paganesimo si intrecciano per affrontare quel Dio antagonista che a partire dall’età dei lumi ambisce a sostituirli: il sapere razionale. A questo si contrappongono pulsioni e desideri, alimentati da atavici istinti bestiali che annichiliscono e tendono al caos, primo fra tutti il sesso. Pertanto, “la natura è la chiesa di Satana”, come afferma Lei nel corso del film, ed essa, allora, diventa Natura con la “n” maiuscola. Ne consegue che l’umanità vive una straziante contrapposizione: da una parte è il frutto dell’amore benevolo di Dio, dall’altra deve sottostare alla legge della Natura nella quale vive. È l’eterna distinzione tra il trascendente e l’immanente, tra fede e ragione. In simili circostanze, l’unica via di fuga per l’uomo è riuscire a controllare le prescrizioni della Natura tramite la ragione distaccata, ossia mediante la razionalità, che però è rifiuto della carne, del pathos, del sentimento, ma anche negazione del sé, in quanto processo di alienazione tra mente e corpo. Dunque, il sesso è visto come un atto necessario ma impuro, tumultuoso, efferato, il mezzo per il quale il peccato originale si perpetua, non a caso, in un bosco chiamato Eden. Purtroppo, per i protagonisti non sembra esserci soluzione, se non il tentativo disperato di recidere, ancora una volta, la fonte materiale del piacere dal piacere stesso. Alla fine, tutto ciò che rimane è l’angoscia del dubbio, il mistero della vera essenza dell’essere umano, destinato in eterno a domandarsi: sono io figlio della luce o delle tenebre? Lars von Trier a modo suo ci suggerisce la risposta, o meglio, l’assenza di una risposta: “il caos regna!”.