LENI RIEFENSTAHL - LA REGISTA DEL REICH

Parlare di Leni Riefenstahl è sempre piuttosto difficile perché è impossibile separare il suo nome, il suo vissuto e il suo talento dall’ombra mefitica del partito nazista. Proviamo dunque a creare la giusta distanza razionale per approcciarci brevemente a questa figura femminile così controversa.

Riefenstahl nasce nel 1902. Il cinema è ancora lontano. La danza è la forma d’arte che sembra adeguarsi maggiormente al corpo alto e flessuoso di questa ragazza dall’apparenza androgina. Nonostante la sua carriera sembri decollare, i numerosi infortuni compromettono l’utilizzo delle ginocchia e ben presto decide di abbandonare la danza per dedicarsi alla recitazione. Diventa famosa per il grande pubblico tedesco. Nel 1930 fa il provino per “L’Angelo Azzurro”. Josef Von Sternberg le preferisce però Marlene Dietrich con la quale Leni matura ben presto un rapporto di viva competizione. Questa sconfitta però non la ferma. Concentrata esclusivamente su se stessa, sviluppa un’ambizione smodata, come lei stessa ammetterà in seguito ormai anziana. Scriverà molti anni dopo: «Da tempo avevo preso l’abitudine di non occuparmi che di quello che mi interessava. Tutto il resto non lo percepivo neppure; mi ero costruita un bozzolo in cui mi ero chiusa, in un mondo tutto mio.»

Ed è in questo bozzolo che Leni costruisce la propria personalità, arginando in modo distratto gli avvenimenti che le ruotano attorno. Le persone diventano semplice strumento, funzionali al suo progetto di «diventare una persona importante». Il suo approccio al mondo del cinema e della politica che lo finanzia è diretto, senza fronzoli, audace, quasi “maschile” se riferito agli anni che la vedono in ascesa costante.

Apprende le tecniche della fotografia e del montaggio, tecniche nelle quali raggiungerà livelli magistrali e nel 1932 gira il suo film d’esordio del quale è regista, protagonista, sceneggiatrice e produttrice. Si tratta di “La Bella Maledetta” che rientra nel filone del cosiddetto “cinema di montagna”, molto in voga nella Germania tra le due guerre. Se la struttura del film risulta piuttosto ingenua ed enfatica, la bellezza e la ricercatezza delle inquadratura dà già la misura del talento di Riefenstahl.

L’anno successivo segna inevitabilmente la sua carriera. È il 1933 quando è presente al raduno elettorale del Partito Nazionalsocialista. Affascinata dalla dialettica di Hitler, chiede di incontrarlo e inizia con lui un sodalizio discutibile e problematico. Lo stesso Führer è colpito dalla personalità di Riefenstahl che più volte è in grado di tenergli testa venendo meno a sue precise disposizioni e pretendendo un’autonomia che quasi nessuno aveva avuto fino a quel momento.

Questa posizione privilegiata e allo stesso tempo indipendente la porta ad essere mal vista dagli uomini più vicini a Hitler. Primo fra tutti Goebbels, Ministro della Propaganda, le cui pesanti avances sessuali Riefenstahl raccontò di aver rifiutato inimicandoselo definitivamente.

Pur non avendo mai apertamente sposato le posizioni ufficiali del Partito Nazista, Leni ne è comunque coinvolta realizzando in particolare due opere di propaganda, studiate con l’intento di mostrare al mondo l’estetica grandiosa, enfatica e wagneriana del regime totalitario tedesco: “Il Trionfo della Volontà” e “Olympia”.

Nella prima pellicola, che documenta un raduno del Partito Nazista, Riefenstahl dimostra una capacità non comune nell’utilizzo di tecniche innovative e all’avanguardia. L’uso del grandangolo e del teleobiettivo, la prospettiva distorta che riprende le scenografie studiate personalmente da Albert Speer e un montaggio perfetto, ricalcano la grandiosità del messaggio propagandistico. Lo spettatore diventa parte integrante della manifestazione stessa.

Prendendo la giusta distanza e facendo lo sforzo, per quanto difficoltoso, di separare arte e moralità, “Il Trionfo della Volontà” rappresenta ancora oggi una perfezione tecnica difficilmente raggiungibile nella stessa epoca. Grazie a questo film Riefenstahl diventa la prima regista donna a ricevere dei premi internazionali.

Ma è forse con la seconda pellicola citata, “Olympia”, che Riefenstahl crea quella che universalmente viene riconosciuta come la sua opera migliore. Il film, che produsse direttamente in totale autonomia e con la disapprovazione di Goebbels, fu una celebrazione delle Olimpiadi di Berlino del 1936.

Nella prospettiva dell’esaltazione della forza fisica, “Olympia” diventa una glorificazione del corpo umano. L’occhio dell’antica danzatrice segue ogni movimento col dolly. Slow motion, cambi di angolo di ripresa, carrellate e continui primi piani danno drammaticità allo scorrere delle riprese. La performance del vincitore sembra però del tutto in secondo piano, è solo il corpo che diventa il vero e unico protagonista. L’armonia del montaggio, durato quasi due anni, porta alla creazione di quello che può essere definito il miglior film mai girato sullo sport.

A riguardarlo a distanza di decenni ci rendiamo conto di come questo corpo, in costante tensione nel tentativo di dimostrare la potenza estrema della perfezione, non sia che un baratro verso il nulla. Come ne “Il trionfo della volontà” il singolo era schiacciato dalla grandiosità della folla così in Olympia il singolo non ha un senso compiuto neanche nella vittoria ma è solo una replica muscolare che trova giustificazione nel movimento teso. Asservito allo scopo. Meraviglioso guscio vuoto.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, la regista venne processata più volte per stabilire eventuali responsabilità nella guerra e negli stermini di massa. Nonostante molteplici zone grigie Riefenstahl venne sempre assolta. Il suo costeggiare il male supremo, utilizzandolo per la propria ambizione, probabilmente non la invischiò mai del tutto nell’ideale mortifero del regime nazista ma di sicuro non ne fu mai così estranea come si dichiarò per tutto il corso della sua vita.

Sono tanti i registi contemporanei che ne hanno riconosciuto le doti artistiche. Tarantino qualche anno fa la definì addirittura “la miglior regista di sempre”. Ma rimane comunque emotivamente difficile visionare le sue opere.

di Francesca Arca