È così che si definì una volta Ida Lupino con il sarcasmo degno dell’antidiva che rappresentava. «Sono la Bette Davis dei poveri» diceva, e questa definizione è rimasta da allora tra le citazioni più affiancate al nome di questa artista decisamente unica come indole e carriera. Non un’autobiografia, poche le interviste e sempre rilasciate contro voglia, Ida Lupino non è stata di certo l’emblema della star della golden age hollywoodiana.
Estremamente talentuosa, molto bella di una bellezza decisa ma mai sopra le righe, Lupino era soprattutto una donna di grande carattere, capace di emergere per prima e a suo modo in un mondo del tutto maschilista. In questa lista di donne che hanno saputo lasciare un segno differente nella storia del cinema al femminile proviamo oggi, seppur in modo breve, a lasciare da parte l'attrice Ida Lupino concentrandoci invece sul suo importante lavoro da regista.
Diresse il suo primo film "Non abbandonarmi" (Not Wanted), del quale era anche sceneggiatrice e produttrice, nel 1949 senza però firmarlo ufficialmente e con la co-regia di Elmer Clifton. L’anno dopo invece, nel 1950, diresse e firmò le sue due successive pellicole: "Never Fear" e "La preda della belva" (Outrage). I suoi successivi film furono "Hard, Fast and Beautiful" del 1951, "La belva dell'autostrada" (The Hitch-Hiker) del 1953 e sempre dello stesso anno "La grande nebbia" (The Bigamist). Dopo oltre un decennio di assenza dalla regia chiuse la carriera di regista cinematografica nel 1966 con "Guai con gli angeli" (The Trouble with Angels).
Da quel momento si dedicò quasi esclusivamente al piccolo schermo firmando ottimi lavori televisivi sia come produttrice che come regista con incursioni attoriali e qualche cameo in importanti produzioni.
Come è evidente parliamo di una produzione piuttosto raccolta. Se non consideriamo l’ultima pellicola possiamo dire che Ida Lupino concentrò il suo lavoro da regista cinematografica in circa quattro anni. Eppure la diversità di racconto e di sguardo rendono i suoi film una nota dissonante e perfetta per la sua epoca.
Film a basso costo, girati nella diffidenza generale in una società che mal accettava l’idea che per la prima volta un’attrice passasse dietro la macchina da presa, le pellicole di Lupino stupiscono per la modernità dei temi trattati che le causarono anche aspre critiche, aperte polemiche e guai giudiziari.
I suoi personaggi, realistici e privi di fronzoli, si muovono in contesti al limite e sono protagonisti di storie che per la prima volta vengono raccontate apertamente senza lasciare che sia lo spettatore a prendere su di sé la responsabilità di dare corpo a ciò che le immagini lasciano intendere senza mostrare.
Se in "Non abbandonarmi" Lupino aveva descritto le problematiche di una gravidanza fuori dal matrimonio e il difficile tema dell’adozione, in "Never Fear" cambia registro e racconta il dramma di una ballerina che vede il proprio corpo ammalarsi e modificarsi a causa della poliomielite. In "La Preda della Belva" racconta il trauma di una donna in seguito ad uno stupro. "Hard, Fast and Beautiful" si concentra invece sul rapporto disfunzionale tra una madre e una figlia obbligata a diventare una campionessa di tennis. Ne "La belva dell’autostrada" analizza attraverso l’utilizzo del noir classico l’aspetto psicologico criminale di un serial killer. La banalità feroce di un uomo bigamo è invece descritta in “La grande nebbia”.
La regia di Lupino si caratterizza per la propria spregiudicatezza e per l’assenza di qualsivoglia tentativo di giustificazione o conforto. Mostra la realtà del proprio tempo senza edulcoranti ma con grande umanità. Sottovalutata come regista è oggi invece riscoperta grazie anche alla stima di importanti nomi come Martin Scorsese che nel libro “Il bello del mio mestiere – Scritti sul cinema” dice: «C’è una sensazione di dolore, di panico e di crudeltà che colora ogni inquadratura di questi film, ma vi si trova anche la mescolanza di precisione e compassione dell’attrice. Le sue eroine hanno sempre una grande dignità, così come la sua opera cinematografica. Contrassegnata dallo spirito di resistenza, con una straordinaria empatia per gli esseri fragili e per i cuori spezzati.»
Ma è forse una citazione tratta dal libro “Bambole Perverse” di Mariuccia Ciotta e Roberto Silvestri che dà l’esatta misura del rivoluzionario cambio di fronte di Lupino rispetto al cinema del suo tempo: «Il suo cinema era aperto e senza manicheismi etici ed etnici né toni consolatori. Non era interessata tanto ai personaggi femminili o alle love story, quanto ai suoi *dark men*, a focalizzarsi cioè sui tormenti, i pericoli, l’incerta identità, le ossessioni malate, la fragilità, l’impotenza dei protagonisti maschili, utilizzando le stesse atmosfere e sensibilità che nel noir i suoi colleghi spalmavano, come ombre malefiche, sulla *dark lady*. Se c’è qualcosa che unifica le sue sette regie indipendenti è l’obiettivo di creare giurisprudenza innovativa (molti dei suoi film finiscono nelle aule dei tribunali).»
Ida Lupino si è spenta all’età di 77 anni nel 1995.
di Francesca Arca