“Ho conosciuto i ragazzi per strada. Stavo camminando lungo la First Avenue a New York e loro stavano correndo. Avevano lunghi capelli neri e gli occhiali. Qualcosa di loro mi ha incuriosita e li ho seguiti. Quando ci siamo incontrati a un incrocio gli ho chiesto se erano fratelli. E loro hanno detto sì. Gli ho chiesto dove vivevano. E mi hanno risposto in Delancey Street, che si trovava a soli due isolati da lì. Allora gli ho detto: Cosa? Non vi ho mai visti prima qui in giro. E loro mi hanno detto: “ Che cosa fa nella vita?” Ho detto: la regista. E uno di loro: “Siamo anche noi nel mondo del cinema”.
Comincia così la storia dello straordinario incontro tra la regista Crystal Moselle e i fratelli Angulo, un percorso durato ben cinque anni ed il cui frutto finale è The wolfpack, già vincitore del Gran premio della Giuria al Sundance Festival per la sezione documentari, e che approderà nei nostri cinema il 22 ottobre e sarà visibile il 23 ottobre sul canale Sky Crime + Investigation. Un ottimo esempio di come l’interazione tra cinema e televisione può dare visibilità a quei film che altrimenti resterebbero appannaggio dei soli spettatori dei festival.
Quei sei ragazzi, vestiti come i protagonisti de Le iene di Quentin Tarantino, avevano alle spalle una vicenda atroce e terribile; avevano vissuto tutta la loro esistenza senza uscire quasi mai dal loro  appartamento.
L’unico vero contatto con l’esterno erano stati i film, visti prima su vhs e poi in dvd. Ed è a questo punto che in The wolfpack si produce quell’incredibile cortocircuito che è la cosa più interessante dell’intero documentario. Chiusi in quattro mura, lentamente i fratelli (più una sorella) Angulo cominciano a sviluppare un interesse sempre maggiore per quelle pellicole. Le rivedono centinaia di volte sino ad impararle a memoria. Trascrivono minuziosamente i dialoghi. Armati di colla, cartoncini e materiali vari trovati per casa cominciano a ricreare gli oggetti di scena, dalle pistole de Le iene alle maschere dei film horror, sino al costume di Batman. E poi come in Be kind rewind di Michel Gondry, tutti insieme ricreano alla perfezione quei film. The wolfpack diventa allora un’ode al potere liberatorio del cinema, un’esaltazione dell’assoluta genialità di questi ragazzi. I momenti migliori del documentario sono proprio quelli in cui i fratelli mettono in scena i loro film preferiti o quando decindono loro stessi di dare vita a progetti originari, sempre girati in casa, con mezzi di fortuna e con la collaborazione di tutta la famiglia. Purtroppo tutto il resto del documentario lascia a desiderare e ci sono molte cose che proprio non si capiscono. La situazione di segregazione cambia improvvisamente quando improvvisamente a quindici anni Mukunda (il maggiore dei sei), indossata la maschera di Michael Myers (il protagonista della saga di Halloween), decide di uscire di casa. Da quel momento il processo di liberazione non ha conosciuto arresto ed ha coinvolto anche la madre dei ragazzi la quale ha anche riallacciato i rapporti con i propri genitori. Il punto è che solo qualche minuto prima uno dei ragazzi ci aveva appena spiegato che il padre Oscar era l’unico ad avere le chiavi di casa. La domanda sorge spontanea, come ha fatto ad uscire Mukunda? Questo è solo uno dei tanti interrogativi lasciati in sospeso dal film. Anche il ruolo di questo padre-padrone non è chiaro. Dal film veniamo a sapere che Oscar è ossessionato dalla religione Hare Krisna, che il suo progetto è ricreare la famiglia di Krisna, avere dieci figli e dargli nomi in sanscrito. Capiamo che ha paura che i figli possano entrare in contatto con una realtà certamente non facile come può essere quella delle periferie povere americane, sappiamo che beve troppo e che spesso litiga con la moglie schiaffeggiandola. Eppure è lui a portare in casa quei film, è lui che continuamente spinge i figli ad alimentare la propria fantasia, fa sì che comunque abbiano una educazione, gli compra gli strumenti necessari per formare una band e quando i suoi ragazzi si ribellano non reagisce in alcun modo ma lascia semplicemente che le cose accadano. Insomma nonostante la regista palesi continuamente la sua presenza, contravvenendo all’idea del documentario neutro, alla fine gli interrogativi sono più delle risposte. Rimane lo sguardo sul mondo di questi fratelli cresciuti a pane e cinema. La loro reazione al primo film visto in una sala vera e propria, il loro girare per festival come fosse la cosa più naturale del mondo, come se ancora stessero giocando tra loro, il loro incontro con De Niro. Purtroppo molte di queste cose non vengono raccontate da Crystal Moselle ma dalla trasmissione ABC 20/20, andata in onda il 19 giugno 2015 e reperibile anche su youtube (https://www.youtube.com/watch?v=-4jMlque2vs9) e che risulta molto più interessante di The wolfpack.