Il 7 agosto del 1973 il funambulo Philippe Petit compie quella che giustamente resterà come la sua impresa più famosa, oltre che una delle performance artistiche più importanti di tutto il 20° secolo. Per 45 minuti camminò sospeso nel vuoto tra le due torri del World Trade Center, ad oltre 400 metri di altezza su di un filo spesso meno di 3 centimetri, senza cavi di sicurezza né reti.
Un’esibizione già immortalata nel 2009 dal documentario premio Oscar Man on wire di James Marh e che ora viene nuovamente narrata da Zemeckis.
 
Dopo aver visto il trailer doppiato in italiano di The walk possiamo dire che il peggio è stato evitato, grazie al cielo. Certo la mescolanza di francese ed inglese, ovviamente, è stata brutalmente azzerata ma almeno nelle parti recitate in inglese, tutte contraddistinte da un forte accento francese, è stato scongiurato il rischio che i personaggi venissero trasformati in patetiche e grottesche caricature dell’Ispettore Closeau (quello de La pantera rosa, per gli sciagurati che non lo sapessero). Come si suol dire, meglio di niente, sperando sempre che i distributori italiani forniscano i cinefili di qualche copia sottotitolata, rigorosamente in 3D.
Perché diciamolo subito, The walk è un film che va visto solo ed esclusivamente in 3D, copie in formato diverso non dovrebbero neanche esistere e non vogliamo neanche immaginare che razza di film ne possa venire fuori.
Questo perché l’ultima opera del regista americano acquista un senso solo ed esclusivamente nelle sequenze che riproducono la celebre camminata, nelle quali, nonostante alcuni effetti digitali atroci, la profondità delle tre dimensioni rende alla perfezione l’altezza e la vertigine facendo vivere fisicamente allo spettatore le emozioni di una simile follia.
Tutto il resto è puro Zemeckis al peggio della sua forma. Da sempre infatti il cinema di questo autore soffre di alcuni inguaribili difetti. Il nostro troppo spesso cerca di imitare lo sguardo che ha Spielberg in alcune sue opere finendo per confezionare film Disneyani nel senso peggiore del termine, pieni di melassa e di una retorica talmente esagerata che finisce per essere didascalica e fastidiosamente stucchevole. Esempi perfetti di questi suoi vizi sono il finale di Cast away, o film quali Polar express, A Christmas carol e Flight, Persino pellicole riuscite come Forrest Gump non sono immuni da tali vizi.
Nel caso di The walk Zemeckis riduce la vita di Petit ad una favoletta, soprattutto nella prima parte, quella in cui viene rievocata la giovinezza del funambulo.
Il nostro si muove in una insopportabile Parigi da cartolina facendo l’artista di strada in un vano tentativo di recuperare le atmosfere di Amélie con tanto di storia d’amore con una cantante che anch’essa si esibisce nelle piazze della città ed una parentesi circense che vorrebbe richiamare la visionarietà del Tim Burton di Big fish fallendo miseramente su tutti i fronti.
Quando poi finalmente arriviamo al momento in cui Philippe ed i suoi complici mettono in atto la loro impresa folle ed illegale, il film sembra tirato via alla meno peggio ed è assolutamente privo di suspense, come se il regista non vedesse l’ora di arrivare al momento clou, la celebre camminata, probabilmente l’unica cosa che veramente lo interessava.
Ma il punto più basso lo si ha nell’insistita inquadratura finale in cui fa sfoggio il profilo di New York con le Torri Gemelle a renderlo inconfondibile e con l’inevitabile chiusura proprio su questi due edifici.
Ecco a quel punto viene la voglia di dire a Zemeckis che non c’è bisogno di essere così espliciti quando si vuole costruire una metafora e che abbiamo capito bene che quelle Torri e quell’America non esistono più. Purtroppo nessuno di noi potrà mai dimenticare l’11 settembre del 2001.