Il signore delle formiche
Una carezza nei confronti di Aldo Braibanti, un uomo che ha sofferto troppo nella sua vita.
 
Ne Il signore delle formiche, per quanto possa sembrare assurdo, manca quasi completamente “il caso Braibanti”.
Del dibattito intellettuale e politico che accompagnò il processo per plagio cui fu sottoposto Aldo Braibanti (interpretato nel film da Luigi Lo Cascio) non c’è quasi traccia.
Ne sopravvivono delle schegge.
La più importante è rappresentata dal personaggio, fittizio di Ennio (Elio Germano) che nella pellicola interpreta un giovane cronista de L’Unità al quale, per caso, viene assegnata la cronaca giudiziaria del caso e che finisce per appassionarsi alla vicenda.
L’impressione è che la figura di Ennio serva più che altro a Gianni Amelio per polemizzare aspramente con l’atteggiamento tenuto all’epoca dal Partito Comunista ed al tempo stesso costruire un parallelismo con quello che è oggi il destino dei cosiddetti “diritti civili” in Italia.
Per il resto di tutto il fermento che accompagnò quel processo e che culminerà poi nel 1981 con l’abolizione del reato di plagio, rimangono un paio di sequenze anche svogliate di un paio di manifestazioni organizzate da Graziella (Sara Serraiocco), cugina di Ennio, fuori dal tribunale dove si tiene il processo e pochi secondi del volto di Emma Bonino (che all’epoca dei fatti ancora non faceva politica) come omaggio a Marco Pannella e al  Partito Radicale che fu l’unico partito a schierarsi a difesa di Braibanti.
Appare evidente come a Gianni Amelio non interessi fare un film sul caso Braibanti o su quel processo ma che sia altro ciò che gli sta a cuore.
Come si addice ad ogni opera d’arte di finzione, anche Il signore delle formiche, insomma, tradisce giustamente la realtà storica e propone un proprio punto di vista che è tanto di forma quanto di sostanza.
Per dirla altrimenti la forza dirompente e la dimensione di feroce invettiva politica tanto attuale quanto precisa e circostanziata dell’ultimo film di Amelio sono proprio dati dal fatto che ad emergere è il punto di vista del regista.
A testimoniarlo è innanzitutto la struttura stessa del film ed il profondo squilibrio tra la prima e la seconda parte.
Al centro del film ci sono gli anni in cui Braibanti diede vita al laboratorio artistico del torrione Farnese di Castell’Arquato ed il suo rapporto con Ettore (l’esordiente Leonardo Maltese) alter ego fittizio del vero protagonista della vicenda che, Amelio, per rispetto ha deciso di non nominare.
Il centro vitale de Il signore delle formiche non è insomma Aldo Braibanti in quanto imputato, in quanto caso politico, in quanto mostro, in quanto specchio, come dice Ennio “dell’aspetto più retrivo, più meschino, più criminale” del nostro paese.
Il signore delle formiche appare piuttosto come un doveroso seppur purtroppo tardivo omaggio all’uomo Aldo Braibanti del quale restituisce la figura d'intellettuale senza per questo fargli sconti.
Gianni Amelio ha realizzato un film al centro del quale c’è Aldo Braibanti in quanto uomo ed intellettuale.
E nel restituire dignità a questa figura non ha fatto neanche sconti, mostrandoci, secondo quanto dichiarato dallo stesso regista un uomo “brusco, duro, sgarbato, feroce, ai limiti di una arroganza”.
Al tempo stesso, nel restituirci la figura umana, Il signore delle formiche è anche e soprattutto una meravigliosa storia d’amore.
Da qui lo squilibrio che pervade tutto il film e che lo rende, al tempo stesso, un’opera viva, realizzata con il cuore in mano.
Tutto ciò che riguarda il processo sembra quasi non interessare ad Amelio.
La seconda parte del film è sfilacciata, a volte persino svogliata, piena di personaggi tratteggiati superficialmente.
Eppure, anche queste sono scelte ben precise.
Prendiamo ad esempio la festa alla quale partecipano i due protagonisti e che potrebbe essere uscita da La grande bellezza.
Nel fastidio che prova Ettore nei confronti di quell’omosessualità così esibita e nella contrapposizione con il rigore etico e morale di Aldo c’è molto non solo del vero Braibanti ma anche del rapporto di Amelio stesso con la propria omosessualità.
Così in tutta la vicenda processuale ciò che sembra interessare l’autore è mostrare il proprio rispetto a Braibanti attraverso la totale adesione al personaggio reale e alle sue decisioni dell’epoca, prima tra tutte quella di non rispondere quasi mai alle domande di giudici ed avvocati.
Un senso di sostanziale estraneità che trova eco in quest'apparente disinteresse e sciattezza con la quale consapevolmente Amelio ha affrontato questa seconda parte del suo film.
Ci sarebbe molto altro da dire, dalla figura della madre di Braibanti nella quale è impossibile non sentire echi di Pasolini all’intera vicenda della stessa denuncia nei confronti di Braibanti che, nel film, sembra quasi essere figlia dell’insoddisfazione mista ad invidia e frustrazione di Riccardo (Davide Vecchi) nei confronti del fratello Ettore.
Preferiamo invece soffermarci sul lirico finale nel quale tutto il furore istintivo e la forza dirompente di questo film realizzato con il cuore trovano libero sfogo in quello che, purtroppo, rimane un’incontro intriso di struggente romanticismo che non avrà mai luogo nella vita reale.
La stessa che si accanirà ancora nei confronti di Braibanti al quale riserverà anni di povertà ed indigenza estrema e dolorosa che culmineranno con lo spietato sfratto dalla sua casa romana..
Anche per questo Il signore delle formiche appare come una dolce carezza sul volto di un uomo che ha sofferto troppo nella sua vita.