Russell Baze lavora dura in fabbrica tutti i santi giorni come suo padre che giace su un letto divorato da un cancro. Una sera che ha bevuto troppo ha un incidente in auto nel quale uccide un bambino; finisce in galera e la sua ragazza Lena (Zoe saldana) si rifà una vita con lo sceriffo Barnes (Forest Whitaker). Ad aspettarlo fuori dalla prigione c’è solo suo fratello Rodney (Casey Affleck), coinvolto nel giro degli scontri di boxe clandestini organizzati da John Petty (Willem Dafoe). Per ripagare i suoi debiti un giorno Rodney convince John a portarlo sulle montagne dove si svolgono gli scontri più cruenti, quelli gestiti da Harlan DeGroat (Woody Harrelson), un montanaro violento e pericoloso. Rodney e John non torneranno più e per Russell l’unica ragione di vita sarà trovare Harlan e vendicare il fratello.. Quanto si deve impegnare un regista per sbagliare un film con un cast simile? Scott Cooper deve avercela messa tutta perché il suo film è uno di quelli che ti scordi appena partono i titoli di coda. Il suo è un cinema che vorrebbe essere classico e che invece nasce già vecchio, procede per cliché e si affida interamente ad un cast di attori talmente bravi che potresti fargli recitare l’elenco del telefono e ne usciresti comunque salvo. Tutto nel suo film è già visto milioni di volte. La provincia americana, povera e desolata, i fumi della fabbrica che si confondono con le riprese aeree dei boschi mentre sullo schermo Obama promette un futuro diversi che sembra non appartenere a questi luoghi, la colonna sonora affidata ai Pearl Jam, non c’è una sola scelta che mosti il minimo di originalità o di coraggio. Che abisso tra questa minestra riscaldata e la potenza visiva dei film di Jeff Nichols (Shotgun stories, Take shelter, Mud) uno che tratta gli stessi temi ma da un punto di vista nuovo e diverso, usando un linguaggio cinematografico tanto potente quanto originale, dilatando i tempi, lasciando parlare volti e paesaggi, affidandosi tanto al realismo quanto all’onirico, usando i campi lunghi ed i tempi morti per far esplodere più potente la rabbia, la violenza, l’impotenza. Fate un piacere a voi stessi, lasciate perdere Out of the furnace e recuperate i film di Nichols ne guadagnerete sotto ogni punto di vista. Scott Cooper accumula banalità su banalità, il montanaro violento, il reduce dall’Iraq che non riesce a reintegrarsi, il proletario stritolato da un mondo crudele ed abbandonato dalla fidanzata, il poliziotto onesto ma impotente. Che noia. L’unica cosa buona del film è che almeno ci risparmia il lieto finale, o almeno così sembrerebbe, perché l’ultima inquadratura lascia il dubbio che Scott Cooper sia riuscito a rovinare anche l’unica idea decente del suo “film”.