Avevamo già parlato di Scott Cooper quattro anni fa quando, sempre alla Festa del cinema di Roma, venne presentato il suo Out of furnace (http://www.euroroma.net/articolo.php?ID=2965). Il suo nuovo Hostiles conferma l’amore del regista per il cinema classico americano. Stavolta Cooper ha deciso addirittura di confrontarsi con il genere principe della mitologia cinematografica stelle e strisce, il western.
Il film ci narra l’ultima missione del Capitano Blocker (Christian Bale) incaricato, controvoglia, di accompagnare il vecchio capo indiano Yellow hawk (Wes Studi) a morire nelle sue terre natie. Accompagnato da altri soldati altrettanto stanchi e provati dalla guerra, Blocker sulla sua strada incontrerà Rosalie (Rosamund Pike), una donna alla quale è stata sterminata l’intera famiglia.
Cooper costruisce un film pieno di scene madri accompagnate da una colonna sonora enfatica che, nonostante l’evidente retorica ed un messaggio politicamente corretto poco credibile vista l’epoca storica, riesce comunque a funzionare.
Il primo merito della pellicola sta nel suo ritmo, volutamente lento e dilatato. Invece di puntare sull’azione (pure presente nel film), il regista immerge lo spettatore nel meraviglioso spettacolo della natura selvaggia e lascia che sia questa, piuttosto che i dialoghi a definire i personaggi.
Così la psicologia dei soldati, dei nativi americani e degli altri protagonisti viene definita attraverso le azioni che compiono ed i loro sguardi.
Blocker ed i suoi compagni sono uomini segnati dagli orrori che hanno visto e compiuto nella loro vita, morti che camminano privi di speranza in una natura aspra, privi di qualsiasi speranza per il futuro.
Molti di loro, inconsciamente, non aspettano altro che la morte ed alcuni di essi finiranno per cercarla come nel caso del Sregente Thomas (Rory Cochrane).
Il loro mondo oramai è al tramonto, i nativi americani che hanno combattuto per un’intera vita sono stati ridotti a derelitti umani chiusi in riserve, costretti alla fame e agli stenti.
Hostiles ci restituisce un ritratto disilluso della storia americana, presentandocela come una vicenda intrisa di sangue, violenza e sopraffazione.
Morti, violenze e sparatorie si susseguono nella pellicola mentre i nostri muoiono come mosche spesso per motivi stupidi e banali.
In tutto questo troneggia Christian Bale, come sempre perfetto, per il quale l’esperienza sarà un viaggio dentro sé stesso e nel dolore che lo attanaglia.
Proprio per questo gli ultimi minuti del film, che potrebbero apparire superflui, riflettendoci sopra appaiono necessari nella loro asciuttezza finalmente scevra di retorica e ci accompagnano verso un lieto finale (per quel che si piò) pieno di consapevolezza adulta e matura, quella di un uomo che oramai ha perso tutto e che, finalmente, trova la forza per provare ad andare avanti.