Matteo Garrone ha dichiarato più volte che Dogman è solo ispirato alla vicenda del Canaro e che non si tratta di una storia di vendetta ma di rancore.
Non vediamo motivo per dubitare di tali affermazioni.
Tuttavia lo spettatore che vada a vedere il film, sa che Marcello (interpretato da Marcello Pesce, Palma d’oro a Cannes come miglior interprete), sopporterà pazientemente le angherie di Simone (un grandissimo Edoardo Pesce) sino a non poterne più.
Insomma ci si reca al cinema aspettandosi un crescendo di tensione che sfoci nell’esplosione finale.
Garrone, invece ha in mente tutt’altro e sta proprio qui il problema fondamentale di Dogman e forse sarebbe stato meglio, invece di prendere ispirazione da un fatto di cronaca, inventare una storia originale.
In passato il regista ha dimostrato ampiamente di essere in grado di applicare il suo sguardo d’autore al cinema di genere dandogli linfa nuova, basti pensare a titoli come L’imbalsamatore (2002), Primo amore (2004), Tomorrow (2008) o Il racconto dei racconti (2015).
Proprio da quest’ultimo, a nostro avviso, bisogna partire per capire il passo indietro che, secondo noi, rappresenta Dogman.
Il racconto dei racconti era infatti un tentativo generoso di trovare una via europea ed italiana al fantasy, partendo dal nostro retroterra culturale senza rinunciare all’ambizione di confrontarsi con le grandi produzioni (soprattutto americane) ed il loro immaginario. I risultati, purtroppo, sono stati pessimi e a fronte di un investimento di oltre 14 milioni di dollari gli incassi non sono arrivati ai 3 milioni di euro.
Forse anche per questo Garrone, che aveva cominciato ad accarezzare il progetto di una sua versione di Pinocchio, ha deciso di cambiare rotta.
Il risultato è un film che gioca di sponda e arretra, una pellicola che non si capisce se voglia essere un film drammatico d’autore, una riflessione sul male e su come esso possa corrompere un uomo mite, benvoluto da tutti ed innamorato della propria figlia; oppure se voglia coniugare cinema d’autore e cinema di genere.
Quello che insomma, sembra mancare stavolta è il coraggio di osare, di compiere il salto. Piuttosto ci si rifugia in soluzioni rassicuranti, probabilmente con l’idea, magari anche inconsapevole, di fare pace con critica e pubblico. Resta il problema che poi il pubblico, non certo per colpa di Garrone, si aspetta altro e si presenta al cinema (testimonianza reale) con pacchi giganti di popcorn manco stesse andando a vedere un blockbuster americano.
Quello che fa più arrabbiare è che da Garrone è lecito aspettarsi di più. Anche Dogman conferma il suo talento.
La direzione degli attori è semplicemente straordinaria (come sempre), la scelta di ambientare il film nel Villaggio Coppola è geniale e la fotografia di Nicolaj Brüel ci restituisce un paesaggio che pare uscito da un film post apocalittico, dominato dal grigio, dalla pioggia e dalle pozzanghere dove il sole non si vede mai se non quando Marcello fugge via con la figlia per immergersi nelle profondità marine e sognare un’altra vita che sembra quasi appartenere ad un altro pianeta.
Tutto il resto invece non funziona, proprio a cominciare dal momento clou che viene risolto frettolosamente. D’altra parte è l’intera sceneggiatura a soffrire di tale difetto ed un sacco di passaggi vengono trattati con superficialità ed altri mancano proprio, primo tra tutti il racconto di come Marcello finisca in carcere e della sua permanenza e trasformazione a contatto con tale ambiente.
Anche il contrasto tra la vita e gli ambienti quotidiani del protagonista ed il rapporto con la figlia appare troppo programmaticamente schematico ed alla fine anche la psicologia dei personaggi non è che sia così approfondita, anche se, in questo caso per fortuna c’è la potenza fisica di Marcello Fonte capace di racchiudere un mondo in uno sguardo.
Un vero peccato soprattutto quando si pensi alla sequenza iniziale che da sola racchiude tutto il senso del film o alle rare esplosioni di violenza che, anche per contrasto, sprigionano quella forza che manca completamente al resto del film.
Concludendo, come già detto, Dogman a noi sembra un passo indietro di Garrone, speriamo solo che sia necessario per lasciarsi andare completamente e magari regalarci un Pinocchio che se ne infischi di pubblico e critica e ci lasci visivamente abbagliati.