Disco boy, primo lungometraggio di fiction per Giacomo Abbruzzese si apre con Jomo (Morr Ndiaye) e gli altri guerriglieri del MEND (Movement for the Emancipation of the Niger Delta) che dormono.

Forse tutto il film è un sogno, soprattutto a giudicare dall’ultima parte che deraglia decisamente verso territori magici ed onirici.

Ma procediamo con ordine.

Disco boy è un’opera incredibilmente ambiziosa.

Una coproduzione tra Italia, Francia, Belgio e Polonia con un cast internazionale per una storia che si snoda tra Polonia, Francia e Delta del Niger nella quale si parlano quattro lingue; francese, inglese, lgbo e polacco per un film che ne contiene almeno altri tre al suo interno.

Lastoria comincia con il viaggio di Alex (Franz Rogowski) e del suo amico Mikhail (Michal Balicki), entrambi migranti clandestini, dal confine tra Bielorussia e Polonia sino in Francia.

Questo primo spezzone narrativo privilegia i colori scuri; il viola ed il nero con una fotografia che giocherĂ  sempre sui forti contrasti cromatici.

A giungere in Francia sarĂ  il solo Alex che si arruolerĂ  nella Legione straniera e si ritroverĂ  presto in missione sul Delta del Niger dove il suo destino incrocerĂ  quello di Jomo e di sua sorella Udoka (Latitia Ky).

Così dai colori notturni della tragica traversata attraverso l’Europa, ci ritroviamo immersi prima nel fango nel quale si addestrano i soldati della Legione straniera e poi nel verde vivido della foresta Africana per finire.

Abbruzzese ricerca sempre l’inquadratura ad effetto come nel volo finale dell’elicottero sulla foresta con sullo sfondo le ciminiere delle raffinerie di petrolio ed il paesaggio devastato; o nei corpi dei soldati che durante l’addestramento emergono da una collina, immagine che verrà riprodotta specularmente nella sequenza dell’approdo degli stesso, in lucenti mute nere, sulla spiaggia africana.

Come detto siamo dinnanzi ad un film ambizioso, un nuovo viaggio nel Cuore di tenebra con inevitabili echi di Apocalypse now, citazioni dei quadri di Henri Rousseau ed un grande dispendio visivo tra riprese aeree e combattimenti corpo a corpo visti attraverso visori termici come fossimo in Predator.

Ci troviamo stupiti ad assistere ad un film meticcio che attraversa i generi con incoscienza e che, da cronaca di un viaggio della speranza, si trasforma in film di guerra tra addestramenti sfiancanti, rituali di caserma ed infine pericolose missioni nella giungla.

Ma è nell’ultima parte che improvvisamente Abbruzzese deraglia e trasforma il suo film in qualcos’altro, una pura esperienza visiva accompagnata dalla musica elettronica dei Vitalic, tra raggi laser e corpi che ballano nel buio di una discoteca ricavata all’interno di una chiesa.

Il peso delle azioni compiute da Alex nel Niger si manifesta in presenze, forse fantasmi, e ci ritroviamo catapultati in un’atmosfera onirica e magica nella quale realtà, sogno e rituali sciamani si confondono.

Certo c’è il rischio continuo dell’autocompiacimento fine a sé stesso e di perdersi nell’esercizio di stile ma c’è poco da dire, Disco boy è un’operazione azzardata e vincente pensata per un pubblico internazionale e che poco ha a che vedere con il nostro panorama cinematografico.

Alleluia.

EMILIANO BAGLIO