Black sea (Regia di Kevin Macdonald)
Black sea ha il sapore dei film di una volta, quelli che oggi non si girano più e non interessano a nessuno se non ad un pubblico di nicchia. È una pellicola di genere senza fronzoli e senza grilli per la testa, girata con mano salda, che procede a testa bassa verso il suo obiettivo senza aspirare ad essere chissà quale capolavoro ma attenta al suo dovere; intrattenere e coinvolgere il pubblico sino alla fine. La trama è poco più di un espediente. Robinson (Jude Law) è stato appena licenziato dall’azienda per la quale pilota sottomarini. Un giorno il suo amico Kurston gli parla di un sottomarino nazista sepolto in fondo al Mar Nero e carico d’oro. Robinson riesce a convincere un misterioso miliardario a finanziare la ricerca del relitto, racimola un gruppo di disperati metà inglesi e metà russi e parte alla caccia del tesoro. Neanche 25 minuti e siamo tutti a bordo del sommergibile e neanche stiamo a chiederci quanto poco credibile possa essere questo esile canovaccio o come Robinson abbia conosciuto Daniels (Scott McNairy), l’uomo che lo ha messo in contatto con il finanziatore di una simile improbabile impresa. Anche i personaggi sono poco più che maschere, tra queste  lo psicopatico di turno Fraser (Ben Mendelsohn), l’anziano malato Peters (David Threlfall), Blackie (Konstantin Jur’evič Chabenskij) l’amico russo di Robinson chiaramente destinato a morire, Daniels ovvero il figlio di papà che si ritrova a contatto con gente poco raccomandabile ed ovviamente il novellino alla prima esperienza su di un sottomarino. È sin troppo palese ed evidente che al regista Kevin Macdonald non gliene frega nulla di approfondire minimamente la psicologia dei membri dell’equipaggio, la maggior parte dei caratteri è appena accennato e serve solo ed esclusivamente a fare andare avanti la storia. Come ogni film d’azione che si rispetti Black sea si regge su caratteri fissi che sono gli stessi di altre centinaia di pellicole. Quello che interessa a Macdonald è mettere insieme in uno spazio chiuso e ristretto un gruppo di disperati, i quali peraltro manco parlano la stessa lingua, e lasciare che la tensione cresca sino all’inevitabile scintilla che darà luogo ad un’autentica esplosione. Il risultato è un film dove dialoghi e psicologie sono inutili orpelli, a parlare sono i volti stanchi e tesi di questi rifiuti della società; i loro corpi e quello che fanno. In questo senso Black sea è cinema d’azione all’ennesima potenza calato però in un contesto claustrofobico. Piuttosto che affidarsi agli effetti speciali tipici dei film di oggi il regista decide di puntare tutto sui suoi attori, di costruire un piccolo dramma da camera fatto di muscoli, grasso, sporcizia e sudore calato nelle gelide acque del Mar Nero in un sottomarino vecchio e scassato come le persone che ci abitano dentro. Un tale modo di fare cinema è inevitabilmente anacronistico, può interessare solo gli affezionati al cinema d’azione vecchio stampo o magari i nostalgici del western che è forse il genere al quale, paradossalmente, più si avvicina questo film. Persino lo svolgersi della trama alla fine non concede chissà quali sorprese. Quello che invece è intrigante è il modo in cui il regista sposta continuamente la sua attenzione cambiando il tono della storia. Black sea parte come l’ennesima caccia al tesoro, si trasforma presto in un’odissea in fondo al mare, prende l’aspetto di un film incentrato sulla rivalsa di un gruppo di sotto proletari ed alla fine si diverte a vedere come questi vengano corrosi dentro dal denaro. Soprattutto quest’ultima parte sembra essere quella che più interessa Macdonald. Ancora una volta però, piuttosto che le tirate retoriche piene di luoghi comuni che spara Robinson contro gli “altri”, ovvero i capitalisti brutti e cattivi, il fulcro di tutto è l’oro. Neanche fossimo in una novella di Verga, il possesso della roba finisce per corrompere uno ad uno i membri dell’equipaggio che sin dall’inizio del film non fanno altro che scannarsi per il denaro e commettono in nome di esso immani sciocchezze ed anche svariati omicidi. Ovviamente non siamo dinnanzi ad un film impegnato alla Ken Loach, non c’è chissà quale acuto discorso politico o chissà quale analisi sociale del presente. Black sea semplicemente descrive come il miraggio della ricchezza possa portare delle persone a mandare tutto in malora persino quando si trovano senza via di scampo dentro un sottomarino in avaria in fondo al mare. Salvo capire, quando oramai è troppo tardi, che l’unica cosa che conta è il ricordo di quella giornata passata al mare con la moglie che nel frattempo ti ha lasciato e quel figlio che non hai mai visto crescere.
 
EMILIANO BAGLIO