Lei di spalle mette un disco sul piatto. La canzone che parte è “Death” dei White Lies. Lui è in mezzo alla stanza e fa girare una palla da discoteca che riverbera l’ambiente con i suoi giochi di luce. Poi si avvicina alla donna, lei si gira e si accosta al suo collo. Essendo una vampira pensiamo stia per morderlo ma all’ultimo momento poggia la testa sul petto del ragazzo. Il battito del suo cuore viene amplificato a dismisura. La sequenza finisce. È durata tanto quanto la canzone che l’ha accompagnata.
La memoria potrebbe ingannarmi ma ricordo una frase in cui il regista François Truffaut diceva che anche il film più brutto contiene un bel momento. Ecco quello malamente descritto sopra è uno di quei momenti perfetti che ti riconciliano col cinema, il mondo e forse la vita stessa. Un attimo perfetto. “A girls walks home alone at night” vive di questi brevi soffi di vita attorno ai quali, purtroppo, c’è solo tanta supponenza, una lentezza mortale, un’invincibile noia. Ana Lily Amirpour ha costruito un film perfetto per i Festival e per le platee come quelle del Sundance, non c’è che dire. Innanzitutto il bianco e nero, come si addice ad ogni film indie che si rispetti. Poi l’ambientazione, sottolineata da questa scelta cromatica. I personaggi del film sono poveri derelitti. Uno spacciatore, un padre eroinomane, suo figlio destinato a diventare anch’esso spacciatore, una prostituta, un bambino che va sempre in giro da solo. Si muovono in una città spettrale dove il fiume asciutto è pieno di corpi in decomposizione, nella quale non sembra esserci letteralmente anima viva, perennemente ripresa di notte come se non esistesse il giorno. Sullo sfondo pozzi di petrolio. Potrebbe essere una triste e squallida periferia americana non fosse che le scritte sono in arabo ed i personaggi parlano in persiano. Tra queste ombre di esseri umani, in questa triste landa desolata si aggira una vampira. Vaga di notte su di uno skateboard ed indossa un lungo chador nero, una bella immagine, non c’è che dire, altamente iconica. Non basta però una bella colonna sonora, un’ottima fotografia e qualche buona idea per fare un film. Il problema di “A girls walks home alone at night” non è che non succede niente. Si può benissimo girare un film del genere senza per questo annoiare lo spettatore, l’importante è avere un’idea di cinema forte, saper creare un’atmosfera. Ana Lily Amirpour copia a destra e a manca, pesca nel cinema indipendente americano tanto quanto nella nouvelle vague europea, costruisce un eroe principale che sembra il James Dean dei bei tempi andati ma non ha la minima idea di come si gestiscano i tempi cinematografici. Non è tollerabile una sequenza in cui c’è uno spacciatore che mette un pezzo techno, si fa una striscia di coca, balla un po’, si fa un’altra striscia e dopo un tempo infinito arriva il morso del vampiro, non è sopportabile se non riesci minimamente a trasmettere una qualsiasi sensazione allo spettatore, qualunque essa sia. È inutile rilasciare interviste dove si citano a sproposito David Lynch o Sergio Leone o si parla del proprio film come di una metafora della situazione iraniana. “A girls walks home alone at night” è solo il lungometraggio presuntuoso di una regista che gioca a fare l’autrice ma che ha la sola invidiabile capacità di annoiare a morte il malcapitato spettatore. Torna alla mente “The addiction” di Abel Ferrara, meraviglioso capolavoro (in bianco e nero) nel quale i vampiri erano una scusa per un vero e proprio trattato filosofico sulla vita e la morte. O la struggente ipnotica malinconia di “Only lovers left alive” di Jim Jarmush. Film di grandi cineasti che hanno saputo utilizzare il cinema di genere per parlare d’altro e creare splendide pellicole. Si pensa a simili risultati con rimpianto ed un senso di fastidio nei confronti di Ana Lily Amirpour. E per consolarsi ci si affida alle rassicuranti braccia di un Bela Lugosi d’annata.