Il cinema d'autore fa sempre fatica a girare commedie. Sono sempre più rari i registi che sanno girare in modo sarcastico ed ironico e riescono a far ridere il pubblico in modo intelligente. Probabilmente proprio per questo, nonostante imperfezioni evidenti, i film di Ostlund sono sempre una boccata d'aria e alla fine dei Festival portano sempre a casa premi.

Triangle of sadness è il suo primo film in inglese e rappresenta evidentemente uno sforzo produttivo più importante dopo il bellissimo Forza maggiore e il discusso The square. Triangolo perché composto di tre parti profondamente diverse tra loro soprattutto nell'ambientazione perché l'occhio di Ostlund è e resta chirurgico e crudele.

Il primo episodio, probabilmente il più facilmente riconducibile allo stile dell'artista, insieme al prologo, è la parte più riuscita del film. Dialoghi serrati di una coppia in cui l'uomo moderno è costantemente in crisi nonostante l'avvenenza e il benessere. La seconda parte sulla nave è puro divertimento grottesco in cui si accentua l'assurdità del lusso, mentre la terza che racconta la vita sull'isola è la più prevedibile tanto da far chiudere a fatica il film.

Molti critici hanno scritto che le prevocazioni di Ostlund sono dozzinali e si sono chiesti a chi può bastare questo. Sinceramente mi sento di dire che a me bastano. Perché lo sguardo freddo e distaccato della camera funziona. Non parteggia per nessuno perché l'umanità non ha più possibilità di salvezza: i sistemi sui cui si è poggiata per secoli, comunismo e capitalismo hanno fallito o stanno tragicamente crollando e così tutti i suoi rappresentanti. Camera spesso fissa, utilizzo della colonna sonora straniante, montaggio intransigente. Bello.

Discussa Palma d'oro di Cannes e probabilmente non un film per tutti i palati The triangle of sadness è un'opera stupefacente, imperfetta eppure totalmente affascinante. Forse falsa come i suoi protagonisti, ma probabilmente noi amiamo prenderci in giro come i comprimari.