Prima o poi i grandi maestri cadono nella tentazione di raccontarci il loro innamoramento del cinema. Un mix di fanciullesca nostalgia e amore spassionato per la settima arte. Uno sguardo alla famiglia nativa e uno sguardo ai padri putativi artistici diventa essenziale. 

Anche Spielberg, che purtroppo risulta sempre più distante dagli spettatori e dal box office, dopo il remake di West Side Story, cede a questa tentazione e sotto mentite spoglie ci racconta la sua infanzia da giovane ebreo negli Stati Uniti, la sua folgorazione per il grande schermo e l'incontro con John Ford. 

Ne risulta un film confessione che funziona finché parla di stupore, di innamoramento del cinema e di famiglia, ma arranca bruscamente quando Spielberg prova ad alleggerire con segmenti i segmenti dell'adolescenza liceale tipo il primo innamoramento. Bisogna ammettere che il registro più leggero non è propriamente tra le sue corde. 

Il risultato è un film con un'eccezionale cast tecnico, dal montaggio alla fotografia e un notevole cast di attori capeggiati da Michelle Williams che film dopo film si sta sempre più imponendo come interprete di rango.

Un film che è testimonianza, questa volte di una passione, che però fatica a diventare storia universale. Non sempre il privato, anche di un maestro riconosciuto, può essere davvero interessante, sopratutto se viene edulcorato. In questo caso non è più chiaro se la sopeavvalurmtqxuine non sia da imputare maggiormente allo Spielberg produttore piuttosto che allo Spielberg regista.